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Kant, Rawls e il green pass. Il commento di Pennisi

Per comprendere la logica di chi manifesta in piazza contro il certificato vaccinale è utile guardare a due pensatori: Immanuel Kant e John Rawls. Giuseppe Pennisi spiega perché il green pass è l’unica soluzione possibile per proteggere i più deboli

Le cronache ci dicono che mentre la minoranza rumorosa dei no vax , associata con black bloc, centri sociali, neo-nazi e neo/post-comunisti, mettono a soqquadro Trieste ed altre città, negli ospedali 1444 operatori sanitari si sono infettati negli ultimi trenta giorni; non si sa quanti pazienti che sono dovuti andare in ospedale per altre patologie (da malattie oncologiche a fratture causate sulle scale di casa) si sono infettati pure loro. I medici sono vincolati – si dice – dal giuramento di Ippocrate, così come i preti dall’obbligo di assistere tutti coloro che cercano Dio. In effetti, solamente le Chiese sono esentate, come gli ospedali, da richiedere il green pass.

Tuttavia, mentre per le Chiese richiedere o non richiedere il green pass è questione di Fede, per gli ospedali è questione di filosofia morale, ossia etica. È opportuno leggere il giuramento di Ippocrate alla luce degli insegnamenti di Immanuel Kant e del suo concetto di “imperativo categorico”. Per chi abbia i ricordi del liceo, un po’ annebbiati è utile un lavoro recente Jaideep Roy della Università di Bath (chi vuole il testo in integrale scriva a jaideeproy1234@gmail.com) in collaborazione con Sambit Mohanty e K S Mallikarjuna Rao. Il titolo del lavoro è “Kantian Imperatives in Public Goods Networks”, ovvero come leggere gli imperative categorici kantiani in una rete di “beni pubblici”. Sia la salute sia la libertà (a cui fanno riferimento i no vax sono “beni pubblici”). In una rete in cui sono coinvolti numerosi agenti economici, il lavoro dimostra non tanto che la scala di valori può essere differente tra agenti economici (questo lo aveva già detto Kant), ma che c’è chi tende a fare il furbo (free rider) e che occorre prendere misure per impedirlo soprattutto perché i furbetti danneggiano non soltanto chi viene in contatto con loro, ma tutta la comunità. Il lavoro contiene una elegante spiegazione matematica per gli addetti ai lavori.

Sulla base di questo principio, si può trovare un’indicazione di policy facendo ricorso alla Teoria della Giustizia formulata da John Rawls nel 1971: il “maximin”. Scegliere il massimo dei minimi, ossia la distribuzione migliore di “beni sociali primari” (i beni che tutti vorrebbe avere qualsiasi altro bene vogliano avere, “salute” e “libertà” appartengono a questa categoria). Così una società giusta è una società che mira a migliorare prioritariamente le posizioni relative dei gruppi svantaggiati nella distribuzione di beni sociali primari.

Date le caratteristiche anche letali del virus, il “maximin” implica che i più svantaggiati sono coloro che rischiano di essere infettati da coloro che tendono a fare i furbi pensando di conciliare la loro “libertà” particolare, o meglio “particulare” (come diceva il Guicciardini, andando sempre ai ricordi del liceo) con eventuale “immunità di gregge”. Lo Stato, quindi, ha il dovere etico, non la facoltà, di tutelare questi più svantaggiati per un principio fondante di giustizia.

Come farlo? O legiferando l’obbligatorietà del vaccino o seguendo l’esempio austriaco di un lockdown stringente e rigoroso per tutti coloro sprovvisti di documentazione vaccinale.

Nel primo caso, la minoranza rumorosa parlerebbe di vulnus alla Costituzione: facciano ricorso alla Suprema Corte ma in attesa paghino le sanzioni ove non si vaccinino. Nel secondo caso grideranno all’autoritarismo ma sarà sempre più chiaro che il tentativo di imporre una “dittatura” è il loro, la “dittatura della minoranza”, anzi dei gruppuscoli.



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