Skip to main content

Letta e Berlusconi, due autogol evitabili. L’affondo di Cicchitto

Di Fabrizio Cicchitto

Gli sbandamenti su Europa e vaccini di Salvini e Meloni, Berlusconi alle prese con i bollori azzurri, Letta e gli autoscontri sul ddl Zan. Non è facile, di questi giorni, essere Mario Draghi. Il commento di Fabrizio Cicchitto

Spesso condividiamo le analisi accompagnate da fulminanti sintesi di Rino Formica, ma questa volta nella sua intervista alla Stampa ha fatto una battuta ad effetto che però non ha alcun rapporto con la realtà. Berlusconi al Colle sarebbe peggio di Erdogan? Ma Erdogan è un dittatore che ha il pieno controllo della magistratura, dei servizi, di una larga parte della stampa.

Perdipiù grazie ad un golpe mezzo inventato egli è riuscito a mettere le mani anche sulle forze armate storicamente autonome. Berlusconi invece ha arginato il patto magistratura-una parte dei media-PDS, ma dopo un bombardamento giudiziario durato dal 1994 al 2013 è stato condannato in un processo che grida vendetta al cospetto di dio e poi addirittura privato del suo seggio al Senato con una sentenza retroattiva attraverso un’operazione perversa frutto dell’intesa fra l’allora presidente Grasso, i grillini e il PD. Quindi di quale equiparazione con Erdogan parliamo?

Ciò detto, ci sembra che sia il centrodestra che il centrosinistra sono in pessime condizioni e che il Paese è salvato da Draghi. Che, al di là di schemi paleomarxisti, è cosa diversa dal “banchiere internazionale che appartiene al club”: fortunatamente esprime una capacità di governo di stampo riformista e una effettiva sensibilità politica. Il resto lasciamolo a Travaglio.

Senza Draghi da un lato Letta e Conte e dall’altro lato Salvini e Meloni ci avrebbero già portato a sbattere. Passiamo al centrodestra. Negli anni passati purtroppo Berlusconi ha proceduto a zigzag (un giorno su posizioni estremiste-revanchiste, un altro giorno su posizioni liberali e moderate), ha dato un enorme spazio al sovranismo della Meloni e al populismo di Salvini.

Ciò detto, non solo le amministrative hanno messo in evidenza che né Giorgia Meloni, né Matteo Salvini sono capaci di scegliere candidati all’altezza di città come Roma e Napoli, ma che i problemi sono più di fondo. Essi non si sono rivelati all’altezza della situazione su due nodi decisivi. Sulla pandemia mentre il governo, appoggiato dal Pd, da Forza Italia, dai governatori leghisti, dalla delegazione leghista (Giorgetti, Garavaglia, Stefani), dai grillini di Di Maio portava avanti una linea giusta sui vaccini e sul green pass, al contrario la Meloni e Salvini cavalcavano i no vax, i grotteschi obiettori di coscienza, coloro che predicavano la libertà di infettare sé stessi e gli altri; così Salvini e la Meloni hanno fatto il bel capolavoro di dare il merito dei vaccini e del green pass a Enrico Letta e al Pd.

Fortunatamente i governatori leghisti e Giorgetti hanno tenuto la barra dritta. Ma le cose peggiori Meloni e Salvini le hanno combinate in Europa. Una volta che ha deciso di entrare al governo, il leader leghista ha avuto un’occasione storica: attraverso Berlusconi egli poteva accostarsi al Ppe conquistando una posizione centrale nel sistema politico italiano. Nulla di tutto questo.

Subito dopo l’ingresso al governo, “il Capitano” ha firmato con la leader di Fratelli d’Italia il documento dei 16 partiti sovranisti e, non contento, dopo il bel risultato alle amministrative ha telefonato alla Le Pen. Fortunatamente la tenuta politica del centrodestra è stata assicurata da Berlusconi che sul terreno dei rapporti con Draghi, sulla pandemia, sui rapporti con l’Europa non ha sbagliato un colpo.

A sua volta, la delegazione al governo di Forza Italia, composta da Renato Brunetta, da Mara Carfagna, da Maria Stella Gelmini sta mettendo in evidenza una notevole capacità sul terreno della gestione del governo, ma sta anche surrogando sul piano politico quello che Tajani non si dimostra in grado di fare.

Viste le carenze sul piano politico di Salvini e della Meloni, sono guai per tutti se Forza Italia si appiattisce sulla Lega. Paradossalmente sono guai in primo luogo per lo stesso centrodestra che a quel punto concederebbe al Pd uno spazio enorme. Ma in secondo luogo sarebbero guai serissimi per Forza Italia che scomparirebbe. Da questo punto di vista una serie di problemi rimangono aperti.

È evidente che Berlusconi vuole giocare fino in fondo la carta della presidenza della Repubblica e ha tutto il diritto di farlo. Una volta però chiarita in un senso o nell’altro la vicenda del Quirinale, non vediamo come Forza Italia possa rinunciare alla legge proporzionale: con il maggioritario e la riduzione del numero dei parlamentari sappiamo già il rischio che correrebbe: per FI verrebbero eletti una decina di parlamentari contrattati da Tajani e dalla sen. Ronzulli con Salvini e Forza Italia finirebbe in archivio facendo una fine ingloriosa.

I danni non si fermerebbero qui: senza un forte centro moderato e liberale le due destre non andrebbero da nessuna parte. Infine una riflessione sul Pd. Letta e il Pd sono usciti bene dalle elezioni amministrative, in piccola parte per merito loro, per gran parte grazie agli errori del centrodestra. Ora Letta ha pensato bene di rovinare il successo con una incredibile crisi di nervi sul ddl Zan.

Tutti sapevano che questa versione dello Zan non aveva la maggioranza in Senato. In secondo luogo che, come hanno spiegato bene in parecchi, da Luca Ricolfi a Mattia Feltri fino al senatore Tommaso Cerno e la femminista Izzo, tre punti del ddl Zan (il comma b dell’art. 1, l’art. 4, l’art. 7) sono inaccettabili non solo per la destra, ma per il centro di Forza Italia, per i laici liberali, per riformisti garantisti come il sottoscritto e per gente di estrema sinistra come Stefano Fassina e Marco Rizzo.

Perdipiù qualunque persona di buon senso (non parliamo dei capigruppo al Senato) sapeva bene che a scrutinio segreto senatori del Pd e grillini avrebbero votato contro. Ai dem bastava cercare un compromesso con il centrodestra che sarebbe stato facile: tutto stava nel consolidare le norme a tutela dei gay, dei trans e di altre figure ed eliminare quelle che farebbero nascere il devastante gender in Italia, che darebbero un enorme potere discrezionale ai giudici su questa materia così impegnativa, che coinvolgerebbero i bambini in una tematica assai delicata che invece andrebbe affrontata in condizioni e in tempi ben diversi.

Dissennatamente Letta e il gruppo del Pd al Senato sono andati incontro ad un’autentica disfatta già conosciuta in partenza. In seguito ad essa Letta in preda ad una autentica crisi di nervi ha rotto per oggi e per sette generazioni con Renzi e con Forza Italia, facendo così due operazioni dissennate: ha dato arbitrariamente un nome e un cognome ai franchi tiratori (cosa indebita come sanno tutti frequentatori di quel ramo del Parlamento) e proprio lui ha fatto un’operazione in perdita rispetto alle prossime elezioni per il presidente della Repubblica. Se il Pd romperà frontalmente con Renzi e con FI, con chi di grazia eleggerà il capo dello Stato? Forse con LeU, Fratoianni e metà dei grillini?

Detto tutto ciò, però, c’è una cosa che vorremmo capire e che riguarda la sostanza: siccome nessuno contesta un’ulteriore tutela legislativa da assicurare ai gay e ai trans, allora in ballo per il Pd c’è l’affermazione della teoria gender? È su questo nodo che Letta vuole rompere con Italia Viva e con Forza Italia? Vuole davvero replicare il clima di Stati Uniti e Regno Unito, dove le Rowling è stata contestata per aver affermato la sua qualità di donna e che nella vita esistono appunto gli uomini e le donne? Il Pd si è ormai ufficialmente attestato sull’estremismo gender e per questo è disposto a rompere con Forza Italia e con Renzi?

Prima di infilarsi in questo tunnel sarebbe bene che il Partito Democratico nel suo complesso affrontasse allora una discussione di fondo. Consiglio vivamente a Letta di leggere l’articolo di Luca Ricolfi sul Messaggero di venerdì 29 ottobre e il trafiletto di Mattia Feltri sulla Stampa. Chissà che non si schiarisca le idee.

×

Iscriviti alla newsletter