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Letta e la destra alla guerra delle mozioni. La bussola di Ocone

Era inevitabile che il Pd, rianimato dai recenti risultati elettorali, approfittasse dei disordini nelle città per mettere il suo timbro sull’antifascismo. Tema fortemente identitario per la sinistra e che può tendenzialmente disunire il fronte avversario, vero obiettivo politico dei democratici in un’ottica di breve, ma forse anche di più lungo periodo

Alla ricerca di un ruolo e della ragion d’essere che li tenga in vita in un contesto politico dominato dalla figura di Mario Draghi, era forse inevitabile che i partiti politici approfittassero dell’assalto alla Cgil e delle violenze di sabato scorso a Roma per mimare quella lotta politica che sul momento non può avere l’obiettivo concreto di far governare una parte e mandare all’opposizione l’altra.

Era inevitabile, in particolare, che il Pd, rianimato dai recenti risultati elettorali, ne approfittasse per mettere il suo classico timbro sull’antifascismo. Non perché la matrice della provocazione eversiva di sabato non fosse chiaramente neofascista, al contrario di quanto affermato a caldo da Giorgia Meloni, ma perché quel tema è fortemente identitario per la sinistra e può tendenzialmente disunire il fronte avversario, che è poi il vero obiettivo politico dei democratici in un’ottica di breve (leggi: elezione del Capo dello Stato) ma forse anche di più lungo periodo (se è vero che l’evoluzione “progressista” dei Cinque Stelle è piena di incognite e non offre comunque garanzie).

Il fatto poi che tutto sia accaduto alla vigilia di un ballottaggio politico a Roma e in altre città è stato poi, come si dice nella capitale, il classico “cacio sui maccheroni”. È in questo contesto che devono intendersi le affermazioni particolarmente veementi di Enrico Letta e quelle decisamente oltre il segno del suo vice Giuseppe Provenzano. Ed anche l’adesione alla manifestazione indetta per sabato (cioè proprio alla vigilia del voto) dalla Cgil e la presentazione di una mozione per mettere fuori legge Forza Nuova con la successiva richiesta alle opposizioni di firmarla oltre che di partecipare alla kermesse antifascista.

Mosse politiche a cui il centrodestra non poteva rispondere positivamente non ovviamente perché gli piace strizzare l’occhio ai no vax e persino ai violenti, tesi che i dem cercano di avvalorare per fini politici, ma perché avrebbe significato accettare di scendere sul terreno predisposto a sinistra e su cui si sarebbe risultati chiaramente perdenti. Anche perché a destra è ormai acquisita la consapevolezza che la discriminante antifascista su cui si è giustamente fondata la nostra Repubblica va oggi integrata, alla luce dell’evoluzione storica, con una contestuale e altrettanto chiara discriminante anticomunista.

Ma quello che è fallito è stato soprattutto il tentativo di disarticolare il fronte avversario: Forza Italia non solo si è allineata alla decisione di Giorgia Meloni e Matteo Salvini di rispondere picche a Letta ma ha rilanciato con i suoi due capigruppo Anna Maria Bernini e Roberto Occhiuto, proponendo una mozione unitaria che condannasse in modo inequivoco tutte le forze eversive che ancora oggi si richiamano ai totalitarismi novecenteschi.

La guerra delle mozioni che sembra intravedersi assume un valore altamente simbolico, ma si presta a due considerazioni. La prima che è un po’ deprimente osservare che dopo cento anni il nostro Paese è ancora fermo ai tempi di “fascisti e comunisti giocavano a scopone”. La seconda considerazione è che, per quanto accompagnata da parole di fuoco e richiami ai sacri principi, questa “guerra civile” per simboli è l’ennesimo esempio della crisi di partiti in fuga dalle loro responsabilità.

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