Cerchiamo di ispirarci a quello che già c’è nell’ordinamento elettorale italiano e che pare piacere a tutti: Comuni, Regioni e persino rappresentanza italiana al Parlamento europeo, votano tutti col proporzionale e col voto di preferenza. Perché arrivati sulla soglia del Parlamento tutto questo non va più bene? La rubrica di Pino Pisicchio
Quanto manca alla fine della XVIII legislatura? Diciamo all’ingrosso un po’ meno di un anno e mezzo. Bene: prepariamoci a leggerne e a sentirne parecchie sull’argomento che più di ogni altro confisca l’attenzione della politica nelle code di legislatura, facendo venir voglia al pubblico pagante di voltare pagina o canale tv.
Parliamo della riforma elettorale. L’argomento non trascina le folle ma resta, da 27 anni a questa parte, “il tema” della politica italiana, che, con gioiosa alacrità riformistica, si è prodotta in tutta la possibile gamma di peggioramenti in ben cinque occasioni. Guadagnandosi il primo posto nel mondo democratico per attitudine a generare mutamenti compulsivi delle leggi elettorali, fatti a colpi di maggioranza, nell’illusione della medesima di poter riparare, con un aggiustamento alle regole, il deficit di consenso nel corpo elettorale. Maggioranze, poi, puntualmente smentite dall’inesorabile legge dell’eterogenesi dei fini, ovvero: chi pensa di aggiustarsi la legge elettorale per “aiutarsi” alle elezioni, poi perde sempre.
La coazione a ripetere riporta in pagina amori antichi di autorevoli commentatori e accademici a sostegno del maggioritario. Il ragionevole dubbio in voga nelle aule giudiziarie e nei film americani qui raddoppia: il primo dubbio è sul “se” della legge elettorale: la Camera aveva preso la rincorsa lo scorso anno lavorando attorno ad un’idea minimalista di aggiustamento del proporzionale già esistente, ma poi si è dovuta fermare, a causa dell’allargamento a Salvini dell’alleanza di governo. E meno male che nel 2020 lo stesso governo ha provveduto a far approvare dal parlamento una piccola legge di adattamento del Rosatellum vigente in base al principio “non si sa mai”, così, se si va al voto, almeno uno straccio di legge c’è.
Il secondo dubbio è sul bisogno di maggioritario: siamo proprio sicuri che, con un parlamento ridotto del 36,5%, con un matematico effetto maggioritario che porta l’asticella dello sbarramento forse al 5,6% effettivo riducendo la platea a quattro/cinque attori al massimo, abbiamo bisogno di un ulteriore botta di maggioritario? Non sono convinto che la tentazione astrattista, che talvolta prende anche i più seri studiosi, di promuovere le simmetrie pulite dell’“o di qua o di la’” del maggioritario all’inglese, e che ha come obiettivo quello di costringere gli elettori ad un comportamento che non è nella loro indole, sia la soluzione migliore. Anche perché, come diceva il signor Ferrini, rappresentante di pedalò, tanti anni fa con Renzo Arbore, poi “la natura prende il sopravvento”.
Ciò che spinge verso l’adozione di un sistema elettorale è anche la cultura di un popolo, la sua storia, la sua attitudine alla partecipazione al processo politico. Per cui i sistemi elettorali maggioritari saranno ritenuti più consonanti con culture politiche omogenee, mentre i sistemi proporzionali forniranno una più appropriata risposta in contesti frammentari, caratterizzati da una forte eterogeneità economica, culturale, e forse affronteranno meglio il compito di evitare il pericolo di radicalizzazione dei partiti minori dell’opposizione, esclusi da ogni possibilità di partecipare alla rappresentanza parlamentare. E poi non è che non l’abbiamo provato il semi-maggioritario all’italiana del Mattarellum: un miracolo di moltiplicazione delle sigle il giorno dopo le elezioni (vedi il gagliardo orticello dell’Ulivo, verdeggiante di cespugli negli anni d’oro di Prodi).
Suvvia, ragazzi, non scherziamo troppo e semmai cerchiamo di ispirarci a quello che già c’è nell’ordinamento elettorale italiano e che pare piacere a tutti: comuni, regioni e persino rappresentanza italiana al Parlamento europeo, votano tutti col proporzionale e col voto di preferenza. Certo, comuni e regioni anche con l’elezione diretta del sindaco e del presidente e, dunque, con correzione maggioritaria, ok. Ma tutti e tre i sistemi elettorali restano proporzionali e con la gente che si sceglie gli eletti, non li ficca il capo in una lista bloccata. Perché di questo si tace? Perché arrivati sulla soglia del Parlamento tutto questo non va più bene?