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Con la delega fiscale Draghi ha aperto un varco. Ma ora…

Al governo in carica andrà il merito, e non piccolo, di aver finalmente posto le basi e anzi consentito una compiuta revisione del sistema fiscale all’interno di un quadro largamente condiviso. Sul governo della prossima legislatura, invece, ricadrà la responsabilità dei contenuti. L’analisi di Nicola Rossi

Il disegno di legge delega sulla revisione (e non, correttamente, sulla riforma) del sistema fiscale dunque c’è. Il Parlamento lo discuterà e, probabilmente, finirà per emendarlo chirurgicamente in modo da consentirne l’approvazione da parte della stessa maggioranza che a suo tempo approvò il documento delle Commissioni Finanze della Camera e del Senato su cui il disegno di legge delega visibilmente si basa.  Dalla data di approvazione del disegno di legge delega decorreranno (salvo proroghe) i 18 mesi entro i quali il governo – quale che esso sia – potrà emanare i decreti delegati.

Si potrebbe discutere a lungo sulla puntualità con cui il disegno di legge delega indica i principi cui i decreti delegati dovranno attenersi ed i criteri direttivi che dovranno essere rispettati nella sua attuazione. Ed ho segnalato altrove che una vaghezza tanto nella indicazione dei principi quanto nella definizione dei criteri direttivi genera una dannosa incertezza in una campo come quello fiscale in cui la certezza e la stabilità delle regole è essenziale.

E, nel caso di specie, non avevo forse torto osservando, prima dell’estate, che – contrariamente all’opinione comune – ad una legge delega sul sistema fiscale si sarebbe comunque arrivati ma che l’eterogeneità della maggioranza attuale, lungi dall’impedirla, avrebbe in realtà potuto condurre ad una soluzione come quella che abbiamo sotto gli occhi: generica se non proprio in alcuni punti indeterminata. Ora, di una revisione – e per la verità anche di una riforma – del sistema fiscale abbiamo un reale bisogno. Ma abbiamo anche bisogno di una revisione coerente e ben articolata.

All’interno dei binari tracciati dalla legge delega ma non espressione della evidente disomogeneità della maggioranza su questi temi. E allora, come si dice, ex malo bonum. Nel corso della sua discussione il Parlamento oltre ad approvare la delega porti a due anni – il massimo consentito, se non ricordo male – il termine per l’esercizio della delega ed il governo o i governi della presente legislatura si impegnino a non esercitarla.

Così facendo – dal momento che, se non sbaglio, lo scioglimento o la scadenza delle Camere è irrilevante rispetto ai termini previsti dalla legge delega – sarà il voto a scegliere quale debba essere il contenuto dei decreti delegati su un argomento che, come pochi altri, definisce il rapporto fra Stato e cittadino e che richiede elevate competenze tecniche tanto quanto autentiche scelte politiche.

Al governo in carica andrà il merito (e non sarà un piccolo merito) di aver finalmente posto le basi e anzi consentito una compiuta revisione del sistema fiscale all’interno di un quadro largamente condiviso. Sul governo della prossima legislatura, forte della legittimazione elettorale e della possibilità di disporre di un considerevole lasso di tempo per prepararsi adeguatamente, ricadrà invece la responsabilità di dare un contenuto concreto a quel quadro di riferimento avendo davanti a sé il tempo necessario per definire puntualmente i termini della sua attuazione. Gli italiani sono adulti e su un tema di questa delicatezza potrebbero volersi esprimere. Resta da vedere se lo è anche la politica.


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