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Un summit per la democrazia. Così prende forma l’idea di Biden

Un vertice a inizio dicembre su difesa dall’autoritarismo, lotta alla corruzione e promozione del rispetto dei diritti umani. Poi un altro incontro (si spera di persona) nel 2022 per verificare i progressi fatti. Il nodo degli invitati, alcuni discutibili, e la sfida cinese su Taiwan

Ad aprile Thomas Smitham, incaricato d’affari ad interim presso l’ambasciata degli Stati Uniti d’America in Italia, aveva spiegato che l’amministrazione di Joe Biden “sta organizzando per dicembre o gennaio” un vertice tra democrazie. Il summit for democracy è stato annunciato qualche mese più tardi, ad agosto, dal presidente.

Un incontro virtuale tra i leader, il 9 e il 10 dicembre, cioè dopo il G7 di giugno e il G20 di fine ottobre, si legge in una nota della Casa Bianca, per rilanciare gli impegni su tre temi principali “difesa dall’autoritarismo, lotta alla corruzione e promozione del rispetto dei diritti umani”. Tradotto: fare fronte comune contro Cina e Russia in primis. Un altro vertice si terrà a distanza di un anno, questa volta si spera in presenza, per “mostrare i progressi”. In entrambe le occasioni saranno coinvolti, oltre ai leader politici, la società civile, il mondo filantropico e il settore privato.

Foreign Policy ha rivelato che al summit saranno presenti anche “leader di Paesi con discutibili pedigree democratici negli ultimi anni” come Polonia, Messico e Filippine. “Quello che stiamo cercando di fare attraverso il vertice per la democrazia è di sostenere il processo democratico in tutto il mondo”, ha detto un alto funzionario dell’amministrazione. “Per questo, stiamo cercando un approccio davvero inclusivo, una grande tenda”, ha aggiunto.

Ci saranno più di 100 leader tra cui il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, alla guida di un regime monopartitico, e quello filippino Rodrigo Duterte, che in patria ha messo nel mirino il sistema giudiziario e all’estero si è dimostrato “accomodante con l’espansione aggressiva della Cina nella regione”, osserva Foreign Policy.

Come risponde l’amministrazione Biden a queste preoccupazioni? Con il secondo appuntamento, quello del 2022. Il primo vertice, infatti, dovrebbe essere seguito da un “anno di azione” coinvolgendo società civile e settore privato, ha detto l’alto funzionario. “Non stiamo cercando di definire chi è una democrazia e chi non lo è”, ha detto il funzionario. L’impegno, piuttosto, sembra quello di trovare il modo per affrontare assieme le sfide.

“Dovremmo essere consapevoli di noi stessi ma senza non crogiolarci nei dubbi”, ha sostenuto Anders Fogh Rasmussen, ex segretario generale della Nato dopo aver incontrato a Washington la squadra di Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale di Biden. “La democrazia rimane il miglior sistema del mondo. Nessuno scende nelle strade in Myanmar, Venezuela o Hong Kong per chiedere più autocrazia!”. E ancora: “È giunto il momento di un’alleanza delle democrazie”.

Al summit dovrebbe partecipare anche Taiwan, come spiegato nei mesi scorsi dal segretario di Stato americano Antony Blinken.

Fumo negli occhi per la Cina, il cui nuovo ambasciatore negli Stati Uniti, Qin Gang, ha recentemente sostenuto che la Cina è una democrazia incompresa e che “definire le relazioni dell’America con la Cina come democrazia contro autoritarismo e alimentare lo scontro ideologico ha portato a serie difficoltà nelle relazioni” bilaterali.

Nelle ultime ore il clima si è infiammato nuovamente dopo le parole dell’ambasciatore statunitense designato in Cina, Nicolas Burns, secondo cui la Cina non è onnipotente, Occidente mantiene “vantaggi sostanziali”. E dopo quelle del presidente Biden, che in un’intervista alla Cnn ha dichiarato che gli Stati Uniti sono impegnati a difendere Taiwan in caso di attacco.

Il presidente continua a respingere l’idea di una nuova guerra fredda. “Ho trascorso più tempo con Xi Jinping di qualsiasi altro leader mondiale”, ha detto per rafforzare l’impostazione. “Voglio solo far capire alla Cina che non faremo un passo indietro. Non cambieremo nessuna delle nostre opinioni”, ha proseguito.

Parole che confermano la priorità dell’amministrazione Biden: il confronto con la Cina. Com’era per il predecessore Donald Trump. Ma con una differenza: se l’ex presidente era pronto ad andare da solo, quello attuale spinge per un’impostazione multilaterale. Che rischia di mettere davanti a un bivio diversi Paesi, a partire da quelli europei.


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