Le cose da fare sarebbero tante e soprattutto i Paesi dovrebbero trovare accordi anche per i sistemi alimentari in un contesto di cambiamento climatico. Per ora, però, nulla. L’intervento di Federica Matteoli, project manager alla Fao
Da qualche giorno è iniziata la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, altrimenti conosciuta come Cop26. Le aspettative sulla conferenza sono alte. Da tutte le parti si chiede di parlare meno e di agire di più, di trovare accordi che diano risposte concrete e che si mettano da parte gli egoismi dei Paesi per una congiunta risoluzione che faccia decollare azioni concrete contro gli impatti del cambiamento climatico sulle popolazioni. Perché di questo si tratta, noi, esseri umani, dobbiamo salvare il pianeta per salvare noi stessi.
Non tutti però sanno che c’è un settore, quello dell’agricoltura e di conseguenza quello dei sistemi alimentari, che è un contributore importante delle emissioni di gas serra e che, allo stesso tempo, subisce impatti consistenti dalle conseguenze del cambiamento climatico.
Gli effetti del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti, fanno già parte della nostra quotidianità e hanno già forti impatti sugli agricoltori di molti Paesi. Questi impatti sono diversi. Per esempio, il cambiamento climatico è la causa dei sempre più frequenti e prolungati periodi di siccità che possono colpire il raccolto di una coltura particolarmente importante dal punto di vista economico e sociale in una regione. D’altra parte, in altre regioni del pianeta, si verificano piogge molto abbondanti, uragani e tifoni che causano inondazioni che colpiscono le città, le famiglie e le loro attività, le produzioni agricole e gli allevamenti di bestiame.
È importante capire che molte persone in tutto il mondo si affidano all’agricoltura per il proprio sostentamento e che in molti Paesi il settore agricolo contribuisce in maniera significativa al prodotto interno lordo. Quindi, abbiamo bisogno di soluzioni che aiutino gli agricoltori ad adattarsi ai rischi climatici attuali e futuri, a ridurre le emissioni di gas serra e allo stesso tempo a fornire loro un reddito dignitoso, in modo che possano continuare a svolgere il loro ruolo nel garantire la sicurezza alimentare.
È importante infatti ricordare che l’agricoltura è il secondo grande settore in termini di contribuzione alle emissioni di gas a effetto serra, dopo il settore dell’energia (la filiera dell’allevamento del bestiame contribuisce per il 14%, il degrado delle foreste tropicali e la bonifica dei terreni per l’agricoltura rappresentano l’11%, i fertilizzanti il 2%). Mentre i sistemi alimentari contribuiscono per oltre un terzo alle emissioni mondiali di gas a effetto serra.
Inoltre, secondo recenti stime dell’Organizzazione per il cibo e l’agricoltura delle Nazioni Unite (Fao), tenendo conto delle attuali tendenze relative al reddito, alla popolazione e ai consumi, entro il 2050 sarà necessario produrre circa il 70% di cibo in più per soddisfare la domanda globale.
Secondo il rapporto “The state of food security and nutrition in the world 2020”, sviluppato in collaborazione tra Fao, Ifad, Unicef, Wfp e Oms, dal 2014 al 2019 altri 60 milioni di persone sono state colpite dalla fame e gli effetti della pandemia di Covid-19 potrebbero aver provocato un incremento dagli 83 ai 132 milioni di persone alla categoria dei sottonutriti nel 2020.
È chiaro che la situazione sta peggiorando velocemente e tutti dobbiamo fare di più e collaborare di più, per far fronte ai cambiamenti climatici e per proteggere la biodiversità e l’ambiente.
In questo modo il cambiamento climatico sta riducendo i raccolti e il contenuto di nutrienti a livello globale, aumentando la fame.
Ma alla Cop26 si sta parlando di queste problematiche? Che risoluzioni ci dobbiamo aspettare dai grandi del pianeta per continuare a sfamare le popolazioni senza distruggere le risorse naturali?
Nel 2021 ci sono state tante occasioni di confronto su queste tematiche. Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha convocato un vertice sui sistemi alimentari come parte del decennio di azione per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030. Il vertice si prefiggeva di lanciare nuove audaci azioni per realizzare progressi su tutti e 17 gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Anche in questo caso il rapporto tra cambiamento climatico e cibo l’ha fatta da padrone.
Il segretario delle Nazioni Unite ha detto: “Il mondo ha bisogno di sistemi alimentari che proteggano il pianeta. È possibile sfamare una popolazione globale in crescita salvaguardando anche il nostro ambiente. E ci vogliono Paesi che si presentino alla Cop26 a Glasgow con piani audaci e mirati per mantenere la promessa dell’Accordo di Parigi. La guerra al nostro pianeta deve finire e i sistemi alimentari possono aiutarci a costruire quella pace”.
Nel secondo semestre del 2021 il G20 ha dibattuto di questa problematica e nella risoluzione appena firmata a Roma si è parlato di clima e di sistemi alimentari. Tutti i 20 Paesi si sono impegnati per raggiungere la sicurezza alimentare e un’alimentazione adeguata per tutti, senza lasciare indietro nessuno. E cosi hanno garantito che continueranno gli sforzi per garantire la conservazione, la protezione e l’uso sostenibile delle risorse naturali. Hanno assicurato che combatteranno i crimini che colpiscono l’ambiente come il disboscamento illegale, l’estrazione illegale, il commercio illegale di specie selvatiche e il movimento e lo smaltimento illegali di rifiuti e sostanze pericolose.
Peccato che molti di loro non hanno una regolamentazione nazionale su queste problematiche. Ma noi siamo sicuri che questo impegno non sara disatteso. Speriamo.
Intanto a Glasgow, alla Cop26, si sono avuti i primi decisivi risultati. Più di 100 leader mondiali hanno promesso di porre fine e invertire la deforestazione entro il 2030. Come non si è ancora capito. Alcuni governi, guidati da Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Norvegia e Paesi Bassi, hanno annunciato che almeno 1,7 miliardi di dollari verranno erogati direttamente alle popolazioni indigene e alle comunità locali in riconoscimento del loro ruolo chiave nella protezione delle terre e delle foreste del pianeta. È già un passo avanti.
E l’agricoltura? E i sistemi alimentari?
Trovare le soluzioni utili a ridurre i danni provocati da questi eventi estremi e ad affrontare con maggiore preparazione le loro conseguenze è possibile, ma richiede un processo che va contestualizzato alla luce delle circostanze socio-economiche locali.
Dobbiamo operare in modo olistico prendendo in considerazione diversi aspetti dello sviluppo: sociale, politico e tecnico.
A livello tecnico, miglioramenti significativi possono essere raggiunti con l’introduzione di migliori pratiche agricole, che esistono e che vengono migliorate sempre di più grazie alla ricerca. Ma bisogna investire nella ricerca. Lo sappiamo che ancora pochi Paesi mediterranei spendono più del 2% del loro prodotto interno lordo in ricerca e sviluppo e spesso i diversi attori coinvolti non collaborano efficacemente tra di loro, rischiando di sovrapporre e frammentare le varie iniziative, limitandone così i risultati?
L’agricoltura può contribuire alla mitigazione sia riducendo le sue emissioni sia attraverso il sequestro del carbonio.
La creazione di terre ricche di carbonio comporta un migliore sequestro del carbonio nella silvicoltura, riducendo la deforestazione, il rimboschimento e l’imboschimento. In agricoltura, il sequestro del carbonio nel suolo può essere migliorato in diversi modi, ad esempio con il ripristino delle terre degradate, riducendo gli incendi e il pascolo eccessivo, e con l’agroforesteria.
Molte delle opzioni disponibili per la mitigazione rafforzeranno anche la resilienza alla variabilità climatica e contribuiranno alla sicurezza alimentare attraverso una maggiore produzione alimentare.
A livello politico, abbiamo bisogno di politiche più coerenti, ma anche di cambiamenti sociali radicali e servizi climatici innovativi.
Per quanto riguarda i servizi climatici, dobbiamo sostenere i Paesi nel trasformare i loro impegni climatici in azioni concrete, attraverso l’introduzione di tecnologie e sistemi innovativi, ma anche offrendo agli agricoltori e alle piccole e medie imprese agricole supporto per adottare queste soluzioni nella quotidianità, così da migliorare la loro resilienza ai cambiamenti climatici. Infatti, non tutti hanno le disponibilità economiche per acquistare tecnologie innovative e anche se ce le avessero, potrebbero vedere ridursi la produttività e quindi anche il reddito, nel periodo di transizione.
Esempi di queste soluzioni includono l’uso di energia rinnovabile nei processi coinvolti nella filiera agro-alimentare, in particolare per ridurre le perdite di cibo nelle fasi post-raccolta.
Inoltre, è necessario sostenere il miglioramento delle pratiche agricole tradizionale attraverso la loro integrazione con le moderne conoscenze scientifiche. Un esempio è l’uso dei droni utilizzati per monitorare l’uso delle foreste e del territorio, per garantire che siano utilizzati in modo sostenibile.
È necessario inoltre utilizzare un approccio di filiera e considerare il sistema agroalimentare nella sua interezza, perché il modo in cui produciamo, trasformiamo e trasportiamo il cibo, ha un impatto significativo sull’ambiente e sulla salute umana e degli ecosistemi.
Pensate che ogni anno circa il 14% del cibo mondiale viene perso prima ancora di raggiungere il mercato. La perdita di cibo è valutata a 400 miliardi di dollari all’anno, circa il prodotto interno lordo dell’Austria. Quando si parla di impatto ambientale, la perdita di cibo e gli sprechi generano l’8% delle emissioni globali di gas serra.
Incentivi per realizzare una produzione più sostenibile sono fondamentali per aiutare i produttori, i trasportatori e tutti coloro che lavorano nelle filiere agro-alimentari ad attuare azioni e investire in tecniche più resilienti al cambiamento climatico.
Le sfide non sono solamente ambientali ma anche sociali. Infatti, anche le abitudini dei consumatori e la scelta degli alimenti da inserire nella propria dieta hanno subito modificazioni nel tempo. Per cui, se da una parte occorre garantire la disponibilità di cibo attraverso il mantenimento della sicurezza alimentare, dall’altra occorre produrre cibi più sani per evitare la tendenza, comune a quasi tutti i Paesi, dell’insorgere di malattie legate a una cattiva alimentazione, quali l’obesità, il diabete e i problemi cardiocircolatori.
Insomma le cose da fare sarebbero tante e soprattutto i Paesi dovrebbero trovare accordi anche per i sistemi alimentari in un contesto di cambiamento climatico.
Per ora nulla. Aspettiamo fiduciosi.