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Le alterne fortune del burqa, dall’anonimato alla globalizzazione

Il capo è diventato di uso esclusivo dei ceti sociali alti, poi delle classi più povere, e, infine, a partire dal 1961, è stato vietato alle donne che lavoravano. Con i Talebani si è internazionalizzato e ha il sapore del boomerang più clamoroso della storia

C’è un aspetto che i Talebani, nella loro intricata, controversa e conflittuale relazione con le donne, non hanno mai considerato. Nell’ansia di annichilirle e di schiavizzarle, rendendole oggetti sessuali o serve domestiche senza volto, le hanno rese protagoniste proprio con l’indumento simbolo che doveva contribuire a renderle invisibili, ovvero il burqa.

Quando nel 2001 cadde il regime del mullah Omar, il copricapo afghano fece il giro delle redazioni di tutto il mondo, surclassando in popolarità l’hijab e il chador e assurgendo, a torto, a modello principe del velo islamico. Dunque, si verificò, di fatto, ciò che i Talebani più temevano: le donne erano diventate l’argomento più discusso del momento grazie a un capo di abbigliamento scelto per loro dagli uomini. Sembra un paradosso, ma il burqa aveva scoperto le donne e la sua evoluzione si è tradotta in un lento processo di globalizzazione. Non a caso, lo ritroviamo, addirittura, sui principali siti di e-commerce, in cui le voci memorizzate sono molteplici. Ne citiamo solo alcune: burqa afghano, burqa donna, burqa integrale e… burqa sexy. Le traduzioni correlate, ovviamente, sono approssimative e non sempre corrispondono effettivamente al velo imposto dai talebani, ma il termine usato è quello e viene adottato, indifferentemente, per tutte le mise consone per le devote di Allah: dalla biancheria intima permessa, agli abiti per le feste, ai vestiti tradizionali.

Scorrendo i vari modelli, in realtà, di burqa veri e propri, con la retina che copre gli occhi, ce ne sono pochissimi e nella traduzione vengono indicati come “desert dress” (abito del deserto) o “fazzoletto da testa”. Le nuances vanno dal bianco sporco al nero, fino a tinte insolite quali il rosso e il verde acqua. I colori della tradizione, invece, sono il celeste e il nero. Ma il fatto singolare è, non solo, la descrizione dell’articolo che, si precisa, è importato dall’Afghanistan, ma soprattutto la nota a margine: “Nasconde la vostra bellezza per qualcuno di speciale”. E, cosa ancora più sorprendente, non mancano le recensioni. Tre sono in italiano. La prima, dettagliata, declama la puntualità della spedizione, ma la scarsa qualità del prodotto, composto di poliestere al cento per cento. Acquistato come “vestito per sposa fedele” per fare uno scherzo a un’amica prossima al matrimonio, l’acquirente ne critica la fattura, “le cuciture approssimative, gli avanzi di filo non tagliati e parti del tessuto sfilacciate”, esortando il produttore “a una maggiore attenzione alla qualità di ciò che vende”. La seconda recensione è una critica severa: “Orribile pensare di rinchiudere una donna lì dentro. Dio ama le donne”. Ma il fatto che abbia potuto esercitare il diritto di recensirlo, significa che lo ha comprato? La terza, infine, è firmata con un nome di donna, ma a scrivere è un uomo, che sconsiglia l’acquisto del prodotto troppo corto: “Quando la mia donna cammina si vedono le scarpe che spuntano da sotto. Inoltre, la trama dello spioncino del viso controluce fa vedere un’ombra che potrebbe dare un’idea del volto. Sconsigliato vivamente”.

A partire dall’agosto scorso, inoltre, con il ritorno al potere dei Talebani nell’antica terra dei mullah, la fama del burqa ha raggiunto l’apice, in quanto tutte le testate, da New York a Londra a Mosca, hanno riportato come i prezzi del velo integrale afghano siano paurosamente lievitati. Molte donne si sono affrettate ad acquistarlo prima della caduta di Kabul per evitare i prezzi esorbitanti. Insomma, il mercato del velo non si era mai sentito. Di certo, non lo avrebbe mai immaginato il re Habibullah Kalakani quando nel 1890 lo impose per la prima volta alle duecento donne del suo harem per evitare che, fuori dal palazzo, gli uomini cadessero in tentazione nel guardarle. Da allora, il capo è diventato di uso esclusivo dei ceti sociali alti, poi delle classi più povere, e, infine, a partire dal 1961, è stato vietato alle donne che lavoravano. Con i Talebani si è internazionalizzato e ha il sapore del boomerang più clamoroso della storia.



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