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Alpi Aviation, la Cina e il golden power. L’opinione di Tricarico

Riceviamo e pubblichiamo la riflessione del generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare e consigliere militare del presidente del Consiglio

Addirittura il Wall Street Journal e l’agenzia Reuters, oltre al alcuni quotidiani nazionali, hanno ripreso il cecchinaggio sulla piccola ma performante società pordenonese Alpi Aviation, accusata di aver esportato tecnologia strategica in Cina e di aver aggirato le norme della golden power. Il sistema sotto accusa è un mini drone, lo Strix.

Il fuoco mediatico delle corazzate contro la pulce friulana farebbe pensare di impulso all’ennesima caccia alle streghe che sempre più spesso contraddistingue il panorama della giustizia italiana, lasciando aperti non pochi interrogativi sulle vere cause che innescano le indagini e i procedimenti giudiziari.

Supponiamo per esempio che Alpi Aviation abbia solo esposto, a un salone aerospaziale cinese, un pezzo di legno, un banale mockup di un drone e per questo sia stata accusata di esportazione di materiali di armamento senza passare sotto le forche caudine della legge 185/90, chi si farebbe carico di aver preso per buono uno scenario grottesco e di accollarsi il danno di immagine e commerciale arrecato alla operosa Pmi italiana?

Ma seppure invece del simulacro di un drone avesse varcato la frontiera per cadere in mani cinesi il vero drone prodotto da Alpi Aviation, è verosimile ritenere che sia migrata in mani nemiche una tecnologia sensibile per la sicurezza dello Stato?

In altre parole, crediamo davvero che il mini drone italiano possa essere la piattaforma di una tecnologia che faccia gola a un paese come la Cina?

Posso sbagliare, ma da autodidatta e con un po’ di esperienza, sarei portato a intuire che il drone incriminato, lo Strix, altro non sia che l’assemblaggio su un piccolo aeromobile del peso di qualche chilo, di componenti elettronici reperibili sul mercato e di largo impiego anche non militare.

Se le verifiche peritali e dibattimentali dovessero confermare le ipotesi formulate (a un tanto al chilo ma per nulla infondate), non si può non riproporre il quesito iniziale: come è possibile che sia stata dispiegata una così lunga, scrupolosa e minuziosa indagine giudiziaria se dovessero mancare i presupposti fondamentali dell’esportazione di materiale sensibile e di strategicità della tecnologia ceduta?

Non aver potuto leggere le carte dell’indagine purtroppo costringe a continuare a tentoni e a formulare ipotesi non provate ma probabilmente, al di là del polverone creato dal caso, non lontane dalla realtà.

Una prima spiegazione si collocherebbe nella peculiarità tutta italiana di “pompare” ben oltre le loro reali dimensioni comportamenti delittuosi di portata trascurabile, peccati veniali causati da superficialità, piccole furbizie o più spesso da incompetenza della maggior parte delle PMI italiane a verificare la rispondenza dei propri comportamenti alla giungla di norme che regolano i disparati settori di interesse; in altre parole, mentre le grandi società sono ben attrezzate per verificare la compliance di ogni loro passo con le norme vigenti, lo stesso non si può dire per le piccole società, anzi.

L’altra ipotesi che viene in mente e che purtroppo pare la più credibile è che la parola Cina abbia fatto da detonatore, da innesco del caso Alpi Aviation.

Qualche occulto suggeritore può aver lanciato la palla di neve che è diventata valanga, e il fatto che del caso si stiano interessando importanti media stranieri – altrimenti incuranti delle questioni italiane anche più importanti – farebbe rubricare la vicenda di Alpi Aviation nel quadro dell’isteria anticinese.

Insomma, i giudici facciano, come è giusto che sia, il loro lavoro in totale autonomia, ma tengano anche ben presente un possibile movente del delitto totalmente estraneo alla volontà dell’imputato, quello di un verosimile trappolone teso da qualcuno nell’ombra alla sprovveduta società friulana.

Tutti gli altri attori in causa però imparino a non interpretare da sudditi una strategia geopolitica in rapido mutamento, non confondano una scelta di campo con il dovere di tenere sempre ben presenti gli interessi nazionali e un’indipendenza di pensiero rispetto al mainstream del momento.


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