C’è un mare sconfinato di liquidità che gira per il mondo alla ricerca delle migliori e più redditizie occasioni. Chi punta sugli investimenti Esg (Environmental, social, governance) ha grandi opportunità, ma corre il rischio di cadere nella trappola del greenwashing, di chi si dà un’immagine ecologista senza cambiare nulla. L’analisi di Enzo Argante, presidente di Nuvolaverde
Articolo apparso sul numero di ottobre 2021 di Formiche rivista
Per chi seleziona fondi e gestisce portafogli l’allargamento dell’universo degli investimenti è una buona e una cattiva notizia allo stesso tempo. Se da un lato si può costruire un portafoglio diversificato Esg (Environmental, social, governance) senza avere un’esposizione eccessiva verso singoli temi, settori o aree geografiche, dall’altro è sempre più difficile distinguere i fondi e gli asset veramente sostenibili da quelli che di Esg hanno solo l’etichetta.
Anche la regolamentazione si sta adattando a questa evoluzione, da una parte creando una tassonomia comune (pensiamo a Bruxelles), dall’altra chiedendo a grandi aziende e investitori istituzionali di riportare su base annua i risultati extra-finanziari. Quindi si può provare a valutare le dimensioni sociali, ambientali e di governance non solo in sede di misurazione ex post ma anche in fase di valutazione degli investimenti. Ed è importante farlo. Ma come valutare il livello di sostenibilità di un fondo o di una strategia d’investimento?
C’è un risolutore di problemi nella veste di Rodolfo Fracassi di Mainstreet, con il cuore in Italia dove fornisce consulenza Esg a un selezionato portafoglio di clienti istituzionali, tra cui banca Generali: “La maggior parte delle analisi oggi si sofferma sulla sostenibilità istantanea, rappresentata dall’analisi delle singole posizioni detenute in portafoglio in un preciso momento, tralasciando fattori fondamentali legati alle altre dimensioni che invece tipicamente sono valutate nel corso di una due diligence finanziaria e che permettono di ottenere una valutazione completa e soprattutto duratura. Per questo, abbiamo lavorato nel corso degli anni per mutuare l’approccio di valutazione finanziaria delle strategie d’investimento ed estenderlo agli aspetti di sostenibilità applicando lo stesso livello di profondità e dettaglio nel valutare anche la componente Esg. La nostra metodologia proprietaria poggia su tre pilastri. In primis, valutiamo la sostenibilità della società di gestione e del team d’investimento, poi valutiamo il livello di integrazione delle variabili Esg nel processo d’investimento e infine le posizioni detenute in portafoglio”.
Già così ci sentiamo rassicurati: la sostenibilità non è un trend ma un processo economico e come tale soggetto alle regole e ai criteri che regolano il mercato. Siamo lontani anni luce dalla retorica sulla sostenibilità e anche nel linguaggio si vede. “Altri due aspetti vanno sottolineati: da una parte è importante che il sistema di valutazione sia il più oggettivo possibile, limitando il livello di giudizio soggettivo che il singolo analista può applicare alla valutazione. Nel nostro caso, abbiamo elaborato un sistema composto da quasi cento domande che coprono tutti gli aspetti presentati in precedenza e per ognuna di queste sono state preimpostate cinque risposte basate su parametri il più possibile quantitativi, in modo tale che si riduca il livello di intervento individuale. Dall’altra si deve mantenere un buon bilanciamento tra i singoli fattori della valutazione, così che il giudizio finale non sia influenzato in modo prevalente da un fattore singolo”.
Il vero punto non è applicare un giudizio bianco o nero ma mappare su una scala precisa i diversi livelli di sostenibilità delle strategie tra i quali gli investitori possono scegliere, cosi come è possibile farlo a livello finanziario sia in fase di selezione degli strumenti e costruzione dei portafogli sia in sede di misurazione dei risultati extra-finanziari.
La vera sfida per il mondo della finanza è quella di passare da un quadro di riferimento promosso da un’organizzazione internazionale a un vero e proprio stile di gestione del portafoglio. Per farlo, è importante riconoscere che gli Sdgs (gli obiettivi di sviluppo sostenibile) possono fungere da catalizzatori dei valori dei singoli investitori. In particolare gli investitori privati possono investire in uno o più Sdgs per contribuire attivamente allo sviluppo sostenibile del pianeta.
Integrare questi obiettivi negli investimenti sostenibili significa quindi investire in aziende che intenzionalmente adottano pratiche di sostenibilità e offrono beni e servizi con un impatto concreto sui singoli Sdgs. “Gli Sdgs sono in grado di offrire un supporto importantissimo nel dialogo con il cliente. L’obiettivo è individuare i temi d’investimento che più si avvicinano ai valori individuali e raggiungere così allo stesso tempo obiettivi finanziari ed extra-finanziari”.