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La concorrenza aiuta i giovani e gli svantaggiati

Chi scrive e numerosi altri collaboratori (più autorevoli di me) di questa testata sono “figli” delle borse di studio di istituzioni italiane e della generosità di fondazioni e università americane perché partendo da situazioni complicate hanno potuto accedere a percorsi che li hanno portati ad alti livelli professionali o accademici

Il disegno di legge sulla concorrenza appena licenziato dal Governo è un documento complesso e di difficile lettura. E’ un geringonça, per utilizzare un termine dialettale di Lisbona, ossia messo a punto con cura dagli uffici di Palazzo Chigi dovendo, però, utilizzare componenti che non stanno bene insieme. E’ il primo disegno di legge sulla concorrenza in molti anni mentre tale ddl sarebbe dovuto essere annuale per aprire gradualmente al mercato i settori tutelati da lacci e lacciuoli, ove non da muraglie. E’ frutto di delicati compromessi tra forze politiche più o meno sensibili alle sirene dei gruppi di interesse che chiedono protezioni per questo o quello. Tali sirene si faranno, senza dubbio, sentire durante il dibattito parlamentare. Occorre resistere come fecero Ulisse e compagni di omerica memoria.

Si dovrà commentarlo con più articoli, di cui alcuni affidati a specialisti settoriali particolarmente versati in materia antitrust. Dopo una prima lettura, tuttavia, è utile fare una premessa, prendendo due esempi (le concessione per le spiagge e “il trasporto pubblico non di linea”, normalmente chiamato taxi) oggi al centro di polemiche: un forte richiamo dalla Commissione europea a proposito delle spiagge e la minaccia di agitazioni da parte dei taxi.

La premessa è che la concorrenza aiuta i giovani e gli svantaggiati. Unita a istruzione e sanità pubblica di alta qualità per abbattere, o almeno smussare, differenze in posizioni di partenza e a strumenti come borse di studio, la concorrenza è l’ascensore sociale e generazionale più efficace. Lo hanno argomentato efficacemente il compianto Alberto Alesina e l’attuale consigliere speciale del Presidente del Consiglio Francesco Giavazzi nel libro Il liberismo è di sinistra pubblicato circa sette anni fa da Il Saggiatore.

Il merito, non il censo, il libero mercato, non le lobby, i diritti del cittadino, non lo spreco di denaro pubblico. Senza meritocrazia le professioni si tramandano ai figli come titoli nobiliari, senza concorrenza il consumatore è ricattato dai grandi monopoli, senza controlli i «fannulloni» continuano a gravare sulle tasche dei contribuenti. Chi difende i giovani, le categorie più deboli? Non certo coloro che erigono barriere per tutelare i loro interessi particolaristici, ma chi cerca di abbatterle per fare sì che giovani e svantaggiati possano avere accesso all’ascensore sociale.

Chi scrive e numerosi altri collaboratori (più autorevoli di me) di questa testata sono “figli” delle borse di studio di istituzioni italiane e della generosità di fondazioni e università americane perché partendo da situazioni complicate hanno potuto accedere a percorsi che li hanno portati ad alti livelli professionali o accademici. Chi dei nostri coetanei ha preferito le tutele della posizione familiare ha preso un ascensore che si è fermato ai piani bassi e spesso hanno fatto marcia indietro dilapidando il lascito pur protetto da alti steccati.

Quindi, la concorrenza, che ci chiede l’Unione europea (Ue) per potere erogare i fondi a titolo del Next Generation Eu, ha non solo l’obiettivo dell’aumento della produttività (ferma in Italia da quasi un quarto di secolo) ma anche un forte scopo sociale: dare a quei giovani ed a quei svantaggiati che per impegno e capacità se lo meritano una speranza, quella di superare barriere artificiali a protezione di chi ha meno capacità e meno meriti di loro.

Prendiamo i due casi citati. Le concessioni balneari. L’Ue ci chiese già nel 2006 con la direttiva Bolkestein, dal nome del commissario che la ha emanata, di bandire gare per concedere beni demaniali come le spiagge ad uso commerciale. Su quasi 30mila concessioni demaniali marittime (con qualunque finalità), oltre 21mila hanno pagato nel 2019 un canone inferiore a 2500 euro. Lo ha ricordato l’Antitrust, a marzo scorso, in uno studio analitico.

La proroga sino al 2034 delle concessioni balneari confermata dal Decreto Rilancio del 2020 e pare fortemente voluta dal Movimento Cinque Stelle (che all’insegna del motto “uno vale uno” è contrario alla meritocrazia) è costata a dicembre dello scorso anno una nuova lettera di messa in mora della Commissione Ue nei confronti dell’Italia, proprio l’Antitrust la scorsa primavera ha chiesto con urgenza al governo la modifica dell’attuale norma nazionale, ossia la legge di Bilancio 2019 (Governo giallo verde che ha prorogato fino al 2034 le attuali concessioni balneari, violando così la direttiva europea).

Ad agitare ancora di più il settore una serie di sentenze di Tar e Consiglio di Stato con le quali i giudici hanno imposto ai sindaci di disapplicare la legge nazionale a favore di quella europea. Chiarissima: gli Stati dell’Ue devono garantire che le autorizzazioni siano rilasciate, per un periodo di tempo limitato, attraverso una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi. Il disegno di legge non prevede la messa a gara (sarebbe dovuta avvenire nel 2007) se non nel 2021 almeno nel 2022, ma una semplice “mappatura” delle concessioni. Si prospetta non solo una nuova procedura d’infrazione ma la sospensione dei finanziamenti europei al Piano nazionale di ripresa e resilienza.

A chi giova la situazione attuale? Frequento da 35 anni una località sull’Adriatico dove si tiene un importante festival musicale. Gli “stabilimenti” sono gestiti sempre dagli stessi concessionari (tranne uno nuovo collegato ad un grande albergo di nuova costruzione) o ai loro figli, la manutenzione lascia a desiderare (perché sono certi di mantenere la posizione di privilegio sino al 2034), nel 2020 sono scappato (pur avendo pagato in anticipo) perché neanche le regole anti Covid venivano seguite e gli assembramenti erano spaventosi. Avendo il monopolio, era sin troppo facile offrire un ombrellone e due lettini gratis alle famiglie polizia municipale…

Taxi. Proprio ieri mi sono servito del “trasporto pubblico non di linea” con un autista arrabbiatissimo. Ha pagato 30 anni fa “la licenza” 150 milioni di lire da un collega, che la aveva avuta gratis dal Comune, e non vuole che si deprezzi, a ragione della concorrenza di Ncc e piattaforme come Uber (che funzionano in tutta l’Ue tranne che da noi) perché suo figlio che ha smesso di studiare dopo la scuola d’obbligo “perché, a differenza di quelli della legge Zan gli piacciono le donne” ha il taxi come una possibilità di lavoro. Quindi “un bene che appartiene alla collettività” è oggetto di mercato e viene passato in eredità come una baronia pur se scassata.


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