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Dal G20 la spinta che serviva. Ora palla alla Cop26

La dichiarazione del G20 è una base per il negoziato a Glasgow, dove ci sono due settimane per trovare un accordo. E occhio alla sorpresa Cina

È iniziata la Cop26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. I grandi della Terra hanno tempo fino al 12 novembre per trovare un’intesa che appare, almeno per ora, piuttosto lontana.

Si parte dal G20 di Roma, dove le diplomazie hanno lavorato duramente per gettare le basi di un’intesa a Glasgow. Per il presidente del Consiglio Mario Draghi nella capitale si è ottenuto “un successo”, che “getta le basi per una ripresa più equa”. Nel documento finale del summit, infatti, ci sono l’impegno a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi e il riconoscimento che è scientificamente dimostrata la necessità di intervenire. Parlando a Glasgow, il Presidente del Consiglio ha sottolineato che bisognerà fare di meglio del grado e mezzo di Parigi. 

Nella dichiarazione di Roma non c’è però un termine per un mondo a zero emissioni: si parla di “entro o attorno” metà secolo. È comunque qui il successo, secondo Draghi, che ha ricordato che negli accordi di Parigi del 2015 non c’era alcun tipo di scadenza, né vaga né precisa.

A Roma si è cominciato a lavorare sul serio sulle roadmap tecnologiche e delle transizioni industriali. Nella conferenza stampa di Draghi, ma anche quella di Angela Merkel e Olaf Scholz, l’accento è stato posto sul “fare” e sulla concretezza, sulla responsabilità di mettere in atto la trasformazione e quindi rispondere alla domanda “quanto ci costa e come la finanziamo”. Stiamo cominciando finalmente a entrare nel merito delle cose.

Ecco l’esempio più importante: la soluzione della disputa su acciaio e alluminio tra Stati Uniti e Unione europea che smetteranno di applicare dazi sulle reciproche esportazioni. Entrambi hanno intenzione di sostituire queste tariffe con “il primo accordo settoriale al mondo basato sul carbonio”, che dicono di voler elaborare nei prossimi due anni. I dettagli devono ancora essere elaborati, ma l’idea è che entrambi i blocchi si allineeranno sui modi per misurare le emissioni contenute nei prodotti. In pratica il metodo è Lca (ciclo di vita) nel settore dell’acciaio e dell’alluminio, e alla fine saranno prezzate e ci saranno di fatto “restrizioni” all’accesso sui mercati delle importazioni che usano metodi di produzione e tecnologie comparativamente più sporche. Siamo davanti alle Bat (best available technique) come modello unificante della decarbonizzazione industriale. Quindi, di fatto andiamo verso una tariffa verde esterna comune. La compatibilità con l’Organizzazione mondiale del commercio adesso is a non issue.

L’accordo manda un messaggio ai produttori di acciaio a livello globale affinché investano in metodi di produzione puliti come l’idrogeno verde (che sono già impiegati con successo in Svezia). Il rischio è di essere permanentemente esclusi dal commercio globale. Ironicamente, Donald Trump, che era sia un negazionista dei cambiamenti climatici sia un nemico dell’Organizzazione mondiale del commercio, ha messo in moto un processo che potrebbe finire per salvare entrambi.

Draghi ha parlato di cambiamenti strutturali alle regole dell’economia mondiale. Infatti, la soluzione della disputa sull’acciaio è stata messa in moto dalla previsione del Cbam (Carbon border adjustment mechanism) nell’ambito del Green Deal europeo. Il Cbam, parte del pacchetto climatico Fit for 55, comporta l’introduzione di una tariffa o altre barriere, che l’Unione europea intende applicare alle merci in base alla loro intensità di carbonio. In un primo momento si applicherebbe solo ad alcuni settori. L’Unione europea ha fatto la prima mossa, e ha messo sotto pressione gli americani, almeno sui tempi di reazione.

La politica climatica si sta allontanando dai riti delle COP, che sono importantissimi certo, ma il forum è quello della ricostruzione di un sistema di regole per la nuova eco-economia. E questo rimette sul tavolo, e infatti Draghi lo ha detto, la questione di un carbon price (o una carbon tax) globale. Che infatti compare nella dichiarazione. Anche questo per la prima volta. Siamo all’alba di un nuovo multilateralismo.

L’accordo fornisce un modello per una strategia industriale verde globale. Gli Stati possono cooperare per decarbonizzare i settori globali con emissioni pesanti come l’acciaio con specifici mix di politiche e investimenti finanziari per sostenere il passaggio alla nuovo industria verde a casa, mentre mettono sotto pressione le industrie sporche all’estero. E l’Europa con la tecnologia sviluppata in Svezia (idrogeno verde) è assolutamente leader.

Draghi non a caso ha fatto riferimento al settore dell’acciaio parlando di Cina. In sostanza ha detto: Pechino esporta il 50% dell’acciaio mondiale che serve anche a noi ed è normale che affrontino delle problematiche importantissime nella riconversione. Ed ecco il sottotesto dell’accordo: se si vogliono raggiungere gli obiettivi, bene, allora si deve cooperare, sulla tecnologia, ma anche sulla finanza.

La Cina alla fine potrebbe anche stupirci riorganizzando la propria produzione per i nuovi standard, cosa che in parte sta già avvenendo. Infatti, i cinesi nel corso dell’anno hanno ridotto le proprie esportazioni di acciaio e hanno ridotto le capacità. Anche per garantire gli obiettivi interni di contenimento delle emissioni. Il governo cinese ha dimostrato che può usare la politica industriale “verde” in modo efficace in settori specifici. Inoltre, la storia recente e studi della Organizzazione Internazionale dell’Energia suggeriscono che la via migliore e più veloce per la decarbonizzazione globale può essere quella di forgiare catene di fornitura globali collaborative, come è stato fatto nell’eolico e nel solare. Così, l’accordo prevede sia nuove regole per rendere più verde il settore dell’acciaio sia regole di stabilizzazione del commercio in senso di “clausole di protezione”. In ogni caso, il Cbam ha avviato un processo virtuoso, mettendo in moto negoziati per il clima in un settore che è responsabile di quasi il 10% emissioni globali.

L’altra cosa importante del G20 sono stati i risultati sulla finanza verde. Anche questo è un tema cruciale: quello della tassonomia e di come finanziare la transizione. La dichiarazione del G20, che affronta temi come debito e biodiversità, è una base per il negoziato a Glasgow, dove ci sono due settimane per trovare un accordo. Ancora a Glasgow il Presidente del Consiglio ha dichiarato che spetta alle istituzioni finanziarie di Bretton Woods sostenere lo sforzo di investimento che il settore privato, da solo, non può affrontare. I soldi ci sono, ha aggiunto Draghi, “money is not an issue”. Ci stiamo avvicinando a un “whatever it takes” sul clima? 

Last but not least, tra Europa e Cina la linea di convergenza è ben presente. E forse, dato lo stato delle cose negli Stati Uniti, potrebbero essere proprio Europa e Cina a dettare il tempo.


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