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Scintille fra D’Alema e Cicchitto alla presentazione del “tesoriere” di Calvosa

Di Alessio Postiglione

La presentazione organizzata da Formiche al Centro Studi Americani con la diretta di Radio Radicale ha visto la presenza anche di Anna Finocchiaro e Chicco Testa. Gli anni ’70 italiani sono ancora una “storia che non passa”

Scintille (ma del pensiero) tra Massimo D’Alema e Fabrizio Cicchitto al Centro Studi Americani di Roma in occasione della presentazione del romanzo d’esordio di Gianluca Calvosa ‘Il tesoriere’ (Mondadori), organizzata da Formiche. Insieme ai due ex esponenti del Pci e Psi c’erano Chicco Testa e Anna Finocchiaro, che hanno animato un dibattito appassionato davanti a un pubblico numeroso.

Il romanzo di Calvosa è infatti un affresco brillante, cesellato da una prosa fresca e ricercata, del Pci negli anni 72/76, che ruota attorno alla figura di un oscuro funzionario, per l’appunto il tesoriere: un romanzo storico, una grande spy story ambientata negli anni che hanno cambiato l’Italia. Un mix riuscito fra la narrativa di spionaggio e un resoconto politico italiano degli anni Settanta, tra realtà e fantasia, ambientato prima dell’omicidio Moro, che svela le dinamiche politiche sottese alla logica di Yalta, quando la DC era finanziata dagli Stati Uniti, e il PCI da Mosca.

Gli anni in cui Roma era il proscenio di avvincenti trame internazionali fra CIA, KGB e Vaticano. Nonostante il libro si occupi ‘tangenzialmente’ di finanziamenti illeciti – e che anzi sia il racconto dell’emancipazione del PCI dall’Urss, dalla conventio ad excludendum fino alla conquista del potere -, la serata è stata anche l’occasione per un garbato, colto e stimolante dibattito sul finanziamento pubblico che ha visto duellare soprattutto Cicchitto – tetragono nel demolire, a suo dire, una certa compiacenza agiografica verso il PCI, correo nel finanziamento illecito come tutti i partiti della prima Repubblica secondo la logica della Guerra Fredda -, e D’Alema, sostenitore della ‘differenza antropologica’ della sinistra.

Particolarmente riuscite una serie di battute al vetriolo di Cicchitto, quando dice che il PCI è un partito azienda, come Forza Italia, con la differenza che quest’ultimo è una azienda che si è fatta partito, mentre il primo è un partito che si è fatto… cooperativa. Dunque la questione del conflitto d’interessi del PCI era identica a quella di Berlusconi.

O, ancora, quando l’ex socialista argomenta che Antonio Di Pietro era arrivato alle soglie di Botteghe oscure e non poté procedere contro il PCI solo perché non sapeva a chi Raul Gardini avesse materialmente consegnato la bustarella; complici anche “le casematte della sinistra” – giornalisti e magistrati – che essenzialmente salvarono solo i comunisti dal naufragio della Prima Repubblica. Osservazione condita da un pizzico di veleno, quando Cicchitto ricorda che la sinistra candidò proprio Di Pietro nel collegio blindato del Mugello. Conclude Cicchitto: “Avete distrutto il PSI e vi ritrovate a governare con il M5s”, è la nemesi; a questo punto, “spero che Draghi rimanga fino al 2050”.

A questi attacchi, D’Alema ha risposto sornione che “era più elegante farsi finanziare da un partito (il PCUS, ndr), piuttosto che dalla CIA”; “a capo delle cooperative, c’erano socialisti e repubblicani”; quando c’erano i trasferimenti, “i finanziamenti non rilevavano come reato secondo la Procura della Repubblica di Roma”, e anzi, dopo, quando scattò la normativa anticorruzione, “i finanziamenti erano versati contro Berlinguer”.

Per D’Alema, invece, il libro di Calvosa non è sui finanziamenti illeciti, ma sulla progressiva indipendenza da Mosca del PCI. Gli ha fatto eco Anna Finocchiaro, quando ha con forza sottolineato come i finanziamenti non hanno a che vedere con la corruzione, ma con la partecipazione democratica.
D’Alema ricorda anche un gustoso aneddoto per sottolineare la natura ‘europea’ e non asiatica del PCI, pur riconoscendone la cultura militare. Quando venne scelto come segretario della Figc da Berlinguer, Pecchioli e Chiaromonte (solo dopo i Compagni avrebbero votato plebiscitariamente, nota Testa), Cacciapuoti prende un foglio da mostrare al giovane Massimo con i nomi di chi lo aveva appoggiato e contrastato e Chiaromonte sbotta: “Qui non siamo in Russia, qui c’è stata la rivoluzione francese”.

O, ancora, osserva D’Alema, in quel PCI, c’era la libertà di “poter volere Chicco Testa, che era osteggiato dalla Commissione centrale di controllo”, o di dare vita ad un esperimento editoriale come “Civiltà futura, con Adornato, Rampini e Lucio Caracciolo, che siglavano corsivi contro i dirigenti”. Salvo dover ammettere che “dopo due anni, ce lo chiusero”, tra le risate divertite del pubblico.
D’Alema ha infine posto un problema di “ricostruzione del sistema democratico”, ricordando come la stagione del finanziamento illecito sia passata come un problema solo della politica, mentre c’era una responsabilità anche del nostro capitalismo. Non a caso, “i primi a utilizzare il termine Casta furono le Br […] e poi il termine ha avuto fortuna grazie al Corriere della Sera”.

La serata, iniziata con il saluto della direttrice della rivista Formiche Flavia Giacobbe, è stata inframezzata dalle letture dal libro ad opera di Maria Pia Calzone e si è conclusa con l’intervento di Gianluca Calvosa, sino a quel momento spettatore entusiasta, come il pubblico, delle battute dei relatori. Protagonisti della serata, ma anche de “Il tesoriere”.



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