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Il napalm contro i no-vax. La nuova pièce (o è una replica?) di Vincenzo De Luca

De Luca è cresciuto con una visione ideologica della politica (con il suo Pci) per passare negli anni da amministratore a una visione pedagogica (quando ammoniva i “cafoni e imbecilli” che non rispettavano le regole del vivere civile). Ormai ha virato verso una drammaturgia pensata e declamata per alimentare il suo personaggio. Un ritratto di Domenico Giordano di Arcadia

“Mi rimane solo in napalm, il lanciafiamme l’abbiamo introdotto”, risponde sarcasticamente Vincenzo De Luca l’altro giorno in conferenza stampa quando gli chiedono se sta pensando, come altri suoi colleghi presidenti di regione, a ulteriori misure restrittive nei confronti dei novax.

Il napalm come nuova arma linguistica dell’arsenale deluchiano, però ha avuto meno fortuna del lanciafiamme, il riverbero sui media è stato decisamente più contenuto e per lo più ci si è limitati solo a registrarne l’introduzione.

Però, se andiamo oltre la cronaca spicciola e superiamo anche l’ auto-assoluzione, che da tempo accompagna l’istrionismo tipico del personaggio, insomma se mettiamo sottovuoto il contesto che le ha ospitate, ci rimangono tra le mani– e in testa – parole che hanno e conservano una fortissima carica di violenza. Espressioni che rimandano a storie tragiche, che si associano a immagini che hanno segnato e ferito profondamente l’umanità.

Il napalm evocato da De Luca, per quanto depurato dai toni ironici utilizzati dal presidente della Campania, è l’uncino che tira fuori dagli abissi della nostra memoria la foto scattata l’8 giugno del 1972 da Nick Ut, inviato dell’Associated Press in Vietnam, a Kim Phúc che a soli nove anni correva nuda lungo la Route 1 per scappare dalle bombe al napalm dei nordvietnamiti.

Il napalm e il lanciafiamme, imbracciato a marzo dello scorso anno, rappresentano due delle tracce più evidenti di come in trent’anni è geneticamente mutata in Vincenzo De Luca la visione della politica e, di conseguenza, le declinazioni linguistiche da utilizzare.

Agli inizi degli anni ’90 del secolo passato con il sistema partitocratico che iniziava a sfarinarsi sotto i fendenti delle inchieste giudiziarie, per l’allora segretario provinciale del Partito Comunista di Salerno la politica aveva ancora una solida matrice ideologica: il presidio militaresco del confine tra i puri e i giusti, collocati tutti a sinistra, e i farabutti, di destra o che per anni avevano militato nelle file socialiste e democristiane, diventava per De Luca motivo di scontro e di distinguo quotidiano. Da questa concezione, per quanto annacquata con il venir meno degli steccati ideologici, De Luca non si è mai separato del tutto modificandola con gli anni tanto da sostituire alla categoria dei giusti e puri quella dei deluchiani in antitesi ai farabutti.

La matrice ideologica perde sostanza e valenza nel corso del doppio decennio passato alla guida di Salerno, dal 1993 al 2001 e dal 2006 al 2014. In questi anni Vincenzo De Luca apre la stagione della politica pedagogica fatta di costanti ammonimenti, di sonori e verbali ceffoni paternalistici, di “cazziatoni” in diretta tv contro quei cittadini cafoni che non rispettano le regole del vivere civile. Sono questi gli anni in cui nasce la parabola dello Sceriffo che in prima persona deve educare esponendoli al pubblico ludibrio le bestie che insozzano la sua città – tempio.

Con la conquista della poltrona che fu di Antonio Bassolino – con il quale è sempre stato in competizione – di presidente della Campania, Vincenzo De Luca inaugura il terzo e ultimo stadio della sua parabola politica che nel frattempo è deragliata verso una costruzione drammaturgica.

Il linguaggio è diventato lo strumento principale da metter in campo per portare carboidrati e proteine verbali al personaggio e alla narrazione del politico zero chiacchere e distintivo; un politico di professione che paradossalmente si ostina a rottamare le liturgie e le convenzioni linguistiche della politica per non rimanerne lui stesso imprigionato; un politico però che è stato scalzato dal suo stesso personaggio che oggi gli impone di alzare sempre più l’asticella della sceneggiatura, unica strada percorribile per non scomparire e per non rischiare di scadere nel limbo dell’anonimato.


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