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Una brigata comune per la Difesa europea. Basterà?

Di Marco Battaglia e Stefano Pioppi

L’Alto rappresentate Josep Borell dovrebbe presentare mercoledì prossimo lo Strategic compass, il documento con cui l’Ue ambisce a dotarsi di una propria capacità di difesa. Prevista anche la creazione di una forza schierabile Ue di cinquemila militari. Eppure, senza una chiara visione politica comune rischia di rimanere una potenzialità sprecata

Una forza d’intervento di cinquemila militari pronta a essere mobilitata in modo flessibile e interoperabile, con quartier generale posto a Bruxelles. Sarebbe questa la proposta per la formazione di un contingente alle dirette dipendenze dell’Unione europea che emerge dall’ultima bozza dello Strategic compass, la bussola con cui l’Ue dovrebbe indicare le tappe per la costruzione di un’autonoma capacità di Difesa. Lo racconta oggi il Corriere della Sera, specificando che il documento dovrebbe essere presentato alla Commissione mercoledì prossimo dall’Alto rappresentante per la politica di sicurezza, Josep Borell. La scorsa settimana, gli stessi numeri erano stati paventati da Bloomberg.

I NUMERI

D’altra parte, intervenendo di fronte alle commissione Difesa di Camera e Senato a metà ottobre, il presidente del Comitato militare dell’Ue, generale Claudio Graziano aveva illustrato l’ipotesi di una Joint Eu entry force: “Una formazione militare multinazionale di natura interforze, composta da un numero variabile di assetti”. Anche il numero del personale identificato dal generale si aggirava sui cinque/seimila militari, una stima basata sull’entità media dei contingenti occidentali impiegati in operazione negli ultimi anni, la dimensione approssimativa di una brigata.

MANCA LA VOLONTÀ POLITICA

Al di là delle considerazioni tecnico-operative, la quantità di mezzi e personale è secondaria rispetto alla volontà di impiego effettivo dell’Ue. Sempre secondo Graziano: “Al netto di tutti gli asset abilitanti, quello che è necessario è una chiara e ferma volontà politica dei paesi membri”. Di più: “Senza una univoca convergenza degli Stati membri verso il rafforzamento della sicurezza e difesa comune diventa superfluo avanzare riflessioni su possibili strumenti militari comuni e sull’esigenza di dotarsi di qualsivoglia capacità militare europea”. Il rischio è che qualunque iniziativa di difesa, a prescindere dalle risorse messe in capo, resti sulla carta, com’è stato il destino dei Battlegroup europei, progettati a partire dal 2005 ma mai realmente impiegati.

QUATTRO DOMINI

L’attenzione, dunque, più che sui numeri della forza d’intervento, dovrebbe essere sul documento nel suo complesso, passaggio fondamentale per dare seguito a quel livello d’ambizione sancito nel 2016 con la Strategia globale dell’Ue, e cioè divenire un global security provider. Difatti, lo Strategic Compass nasce dall’invito formale del Consiglio dell’Ue, nel giugno del 2020, rivolto all’Alto rappresentante, di sviluppare insieme agli Stati membri un documento che potesse “permettere di rafforzare e meglio guidare l’attuazione del livello di ambizione dell’Europa, discendente proprio dalla Eu Global Strategy”, rilasciata nel 2016. Dunque, l’intento principale è affrontare il nodo politico, definendo linee comuni su quattro ambiti: gestione delle crisi, sviluppo delle capacità, resilienza e partnership. In tal senso, si dovrà mettere a sistema quanto già in campo, dalla Pesco (la cooperazione strutturata permanente) al fondo Edf, già partito con 7,9 miliardi di euro fino al 2017, passando per la revisione coordinata annuale Card.

IL MOMENTO ITALIANO

È per questo che, nonostante le incertezze, l’arrivo dello Strategic compass rappresenterà un passaggio importante per i progetti europei di Difesa comune. Per l’Italia potrebbe essere un momento particolarmente favorevole per affermare il proprio protagonismo sulla questione. Con l’addio alla politica di Angela Merkel, il nostro Paese si candida a guidare il progetto di rafforzamento dei progetti continentali, potendo altresì contare sulla leadership internazionale di Mario Draghi. L’accelerazione è attesa a partire da gennaio, quando Parigi assumerà la presidenza del Consiglio dell’Ue, per la quale ha già promesso un vertice di capi e di governo tutto per la Difesa comune. Eppure, per la Francia si avvicinano le elezioni presidenziali, elemento che avrà un peso nella gestione del semestre europeo.

Nel frattempo, l’Italia ha incassato la validazione della propria linea nella delicata relazione tra l’Alleanza Atlantica e Ue nel campo della difesa. A margine del G20 di fine ottobre, nel corso dell’incontro a Roma tra Joe Biden e Mario Draghi prima, e tra Biden ed Emmanuel Macron dopo, si è affermata la via mediana, responsabile, promossa anche dall’Italia con Lorenzo Guerini: sì alla Difesa europea, ma sempre in sinergia con l’Alleanza.

IL RIAVVICINAMENTO TRANSATLANTICO

Tale affermazione era già arrivata dalla precedente ministeriale Nato, con il capo del Pentagono Lloyd Austin giunto a Bruxelles tra i colleghi europei. In quell’occasione un bilaterale con la francese Florence Parly spianò la strada al successivo incontro Biden-Macron, propedeutico a superare una volte per tutte la frattura generata dall’Aukus. Il presidente Usa ha riaffermato l’impegno “di ferro” nei confronti dell’Alleanza Atlantica, e una posizione favorevole agli impegni europei della difesa, sempre se intesi “quale complemento alla Nato”. Con la ripresa di cordialità Emmanuel Macron, da sempre un fautore della “linea dura” di una Difesa europea completamente svincolata dalla Nato (e quindi dagli Usa), potrebbe essere portato ad accettare una linea di compromesso.

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