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Direttiva Lamorgese. Perché il metodo dell’intelligence è decisivo

Da dove nascono le manifestazioni no vax e no green pass? Da lì si deve partire per analizzare il provvedimento del Viminale. Il commento di Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence e direttore del master in Intelligence dell’Università della Calabria

La direttiva del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, un membro del governo scelto fuori dal Parlamento per svolgere uno dei ruoli centrali della vita pubblica, interviene sul tema ineludibile delle manifestazioni no vax e no green pass.

La linea del nostro esecutivo, come praticamente sta avvenendo in tutti i Paesi del mondo, è quella di favorire le vaccinazioni come strumento principale per contrastare la pandemia, che, secondo quanto sostiene Anthony Fauci, uno dei virologi più accreditati, è destinata ad accompagnarci per non poco tempo.

Essendo quello della Lamorgese un provvedimento governativo, interviene sugli effetti, poiché, con la quarta ondata alle porte, occorrono maggiori precauzioni nell’interesse di tutti.

Ma piuttosto che intervenire sui dettagli del provvedimento (le aree dove tenere le manifestazioni, l’obbligo delle mascherine ed altro), intenderei soffermarmi sulle cause che generano le manifestazioni, cercando di analizzarle in profondità.

Investendo direttamente la salute individuale e collettiva, la vasta platea di chi contesta le vaccinazioni, con le più diverse argomentazioni, pone in evidenza la capacità delle singole persone di selezionare le informazioni.

Pertanto, il metodo dell’intelligence risulta essenziale, in quanto l’intelligence rappresenta “la capacità di selezionare le informazioni necessarie per assumere decisioni, nel proprio interesse o in quello generale”.

Oggi il senso del proprio interesse viene identificato in modo emotivo, in una dimensione in cui la realtà dei fatti non sempre incide nella comprensione del mondo, in quanto prevalgono convinzioni, credenze e valori, in cui le emozioni dettano i comportamenti.

Il basso livello di istruzione sostanziale dei cittadini incide in modo rilevante, anche se non esclusivo, in quanto sembra quasi di assistere a una rivincita del fattore religioso: crediamo in quello che non vediamo e non crediamo in quello che vediamo.

Inoltre, viene fortemente messo in discussione il principio della competenza degli esperti. E a volte non certo in modo arbitrario.

È un problema insieme sociale, educativo e cerebrale. Sociale perché siamo inondati da informazioni irrilevanti e, nel caso specifico, contraddittorie; educativo poiché occorrono gli strumenti per comprendere le informazioni, in questa circostanza specialistiche; cerebrale, perché chi è convinto di una credenza a livello mentale non pensa.

E tra comportamenti irrazionali e manipolazioni, la realtà che è davanti agli occhi di tutti viene percepita in modo ancora più fumoso, a causa anche della Rete.

In occasione delle vicende del Covid-19, è stato usato il termine “infodemia” per descrivere i commenti e le informazioni diffuse dai media, mettendo a nudo la disinformazione strutturale presente nella società.

Infatti, dal mio punto di vista la narrazione della pandemia è la manifestazione evidente della “società della disinformazione” che si è materializzata con la dismisura delle informazioni da un lato, e il basso livello di istruzione sostanziale, e quindi di capacità critica, dall’altro.

Il tema è complesso, come tutte le vicende pubbliche, accentuate in questo caso dalla delicatezza di un argomento che riguarda la vita stessa delle persone, ma, intrecciandosi molteplici fattori, a volte si rischia di perdere di vista questo aspetto centrale.

Pertanto, disporre di informazioni attendibili che facciano decidere in modo appropriato è un bisogno primario. Di conseguenza, bisogna necessariamente allargare la platea di chi è in grado di ricercare, analizzare e utilizzare le informazioni nel proprio interesse: da qui la conferma della “necessità sociale dell’intelligence”.

Pochi giorni fa Aldo Cazzullo ha ricordato che “il Paese europeo con più casi e più morti di Covid è il Paese meno vaccinato, la Bulgaria. Quello con meno casi e meno morti è il Paese più vaccinato, il Portogallo”.

Contemporaneamente, per esempio a Milano, ci sono manifestazioni di piazza contro gli obblighi della vaccinazione che si protraggono da 16 settimane consecutive.

La direttiva Lamorgese si occupa di queste ultime perché sono vicende, come si direbbe in gergo giuridico-ministeriale, “contingibili e urgenti”.

Contemporaneamente sarebbe opportuno anche soffermarsi sulle cause, invitando i ministri competenti, dell’istruzione e dell’università più che della salute, ad assumere iniziative per una lettura critica su quanto sta avvenendo.

I comportamenti dei no vax e dei no green pass, al di là di alcune argomentazioni ragionevoli e condivisibili, sono indubbiamente alimentati dalle teorie del complotto, che la Rete amplifica, evidenziando la strutturale capacità cognitiva dell’uomo di pensare inevitabilmente in modo sospetto.

In questa vicenda trovano accoglimento le considerazioni più eterogenee: dagli interessi delle aziende del farmaco alle tendenze a condizionare i comportamenti delle persone, aspetti certamente non da poco.

Nella complessità di tutti questi fattori, il metodo dell’intelligence diventa decisivo. Per individuare le informazioni rilevanti e soprattutto saperle utilizzare nel modo più appropriato.

Tutto questo richiede la consapevolezza culturale delle persone sulla funzione dell’intelligence, ma soprattutto la responsabilità delle élite nell’utilizzo adeguato delle informazioni riservate alla sicurezza.

In definitiva, quello che emerge dalle manifestazioni che la direttiva del ministro dell’Interno evidenzia è l’idea che noi abbiamo della democrazia.

Com’è noto, la democrazia è un’ideologia, al pari del nazismo e del comunismo, e come tutte le ideologie ha dei limiti.

La democrazia si basa su due pilastri precisi: la consapevolezza dei cittadini – che dovrebbero esser in grado di individuare e controllare i propri rappresentanti – e la responsabilità delle élite – che dovrebbero gestire il potere pubblico il più possibile vicino agli interessi dei cittadini. Mancando questi due presupposti, la democrazia diventa soltanto una procedura elettorale oppure la diramazione di inevitabili – e spesso necessari – provvedimenti emergenziali, che non toccano quasi mai la sostanza dei problemi, allargando ancora di più le diseguaglianze.


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