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Tutti i dubbi su inflazione e mercato obbligazionario

Non c’è motivo di preoccupazione immediata ma gli andamenti dei mercati obbligazionari internazionali innescano dubbi, soprattutto per Paesi ad alto debito, che ovviamente sono più esposti a eventuali fibrillazioni dei tassi. Quindi, è opportuno un monitoraggio attento, non solo dalle autorità monetarie e di bilancio ma anche da analisti e dalla stampa indipendente

Questa testata ha tenuto per diverse settimane una barra dritta nell’interpretare aumenti dei costi delle materie prime (soprattutto dell’energia ed in particolar modo del gas), dei noli e di alcuni prodotti essenziali all’elettronica, all’informatica ed al settore automobilistico (i microchip): si tratta – abbiamo detto e scritto – di tensioni temporanee dovute al forte rimbalzo dell’economia mondiale, dopo il crollo attribuibile alla pandemia, agli effetti di strozzature nella catena dell’offerta, a interruzione di produzione nei momenti peggiori della pandemia, a eccessiva concentrazione della manifattura di componenti in un numero molto ristretto di Paese. Dopo un (relativamente) breve lasso di tempo – si è argomentato – si tornerà alla “normalità” di bassi tassi d’inflazione che ha caratterizzato l’ultimo decennio dato che questi nodi si sarebbero risolti. Quindi, le politiche monetarie sarebbero dovute restare “accomodanti” e le politiche di bilancio “espansionistiche” al fine di alimentare, dopo il “recupero”, una crescita di medio e lungo periodo. Per Paesi come l’Italia, la politica monetaria e di bilancio espansionista avrebbe dovuto accompagnare serie riforme strutturali, realizzabili unicamente in un contesto di sviluppo, essenziale per quella pace sociale che è vitale per l’attuazione delle riforme medesime.

Negli ultimi giorni, su questo scenario è piombato il dubbio. Nell’area dell’euro, l’indice armonizzato di aumento dei prezzi al consumo (indicatore standard d’inflazione) ha segnato un tasso annuo del 3,1% in settembre ed uno del 4,7% in novembre. Nei 38 Paesi dell’Ocse, i prezzi al consumo sono aumentati, in settembre, ad un tasso annuo del 4,6% e del 3,2% se depurato dai prezzi dell’energia, il più alto in due decenni.

Quel che più inquieta è quanto sta avvenendo nel mercato obbligazionario. La reazione all’annuncio (al seminario di Jackson Hole alla fine dell’estate) della decisione dell’autorità monetaria americana (il Federal Reserve Board) di cominciare a ridurre (tapering in gergo) la portata delle politiche monetarie “non convenzionali” (ossia Quantitative Easing Q.E., sempre in gergo) è stata immediata: nei 35 maggiori mercati dei titoli a reddito fisso, i rendimenti sono cresciuti mediamente dello 0,65% punti nell’arco di tre mesi. L’incremento è stato significativo non solo nei mercati emergenti (sempre molto sensibili) ma anche in mercati “maturi” come quelli della Gran Bretagna e dell’Australia.

Si è fatto vivo un brutto ricordo: quello del 2013 quando l’impressione che le banche centrali mantenessero una politica monetaria “accomodante”, divergendo così dalle indicazioni (e dai sentimenti) dei mercati ha provocato alcuni mesi di tensioni. Alcune banche centrali stanno rispondendo aumentando i loro tassi di base; la settimana scorsa la Banca centrale del Brasile li ha aumentati dell’1,5%. Per i Paesi caratterizzati da alto debito della pubblica amministrazione, si rifà vivo quello spread che sembrava sparito,

Si potrebbe dire: calma e gesso. Non siamo nel 2013 (fortunatamente). Nel mercato obbligazionario americano i rendimenti dei titoli federali a cinque anni sono la metà di quelli di otto anni fa. I rendimenti reali obbligazionari (ossia tenendo conto dell’inflazione degli ultimi mesi) sono negativi (- 1%). Non c’è panico sui mercati finanziari anche perché molti colossi bancari che nel 2013 erano in serie difficoltà sono stati risanati; in questo quadro il Monte dei Paschi di Siena è un’eccezione, quasi a livello mondiale. Mediamente nei Paesi Ocse, le azioni bancarie sono aumentate circa del 30% negli ultimi 12 mesi.

Non c’è motivo di preoccupazione immediata ma gli andamenti dei mercati obbligazionari internazionali innescano dubbi, soprattutto per Paesi ad alto debito, che ovviamente sono più esposti aeventuali fibrillazioni dei tassi. Quindi, è opportuno un monitoraggio attento, non solo dalle autorità monetarie e di bilancio ma anche da analisti e dalla stampa indipendente.

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