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Strategie e tattiche di Enrico Letta. La bussola di Ocone

Il leader del Partito democratico ha assicurato che non favorirà il voto anticipato anche se a lui converrebbe. C’è da credergli per una parte, ma per l’altra bisogna ammettere che puntare alla stabilità di governo una qualche altra sconvenienza per il Pd dovrà pure averla. La rubrica di Corrado Ocone

Ma cosa vuole Enrico Letta? Quali sono le sue strategie e le sue scelte tattiche? Cosa farà per provare a vincere la partita del Quirinale e come si comporterà se, dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, tutto precipiterà e si presentasse seriamente l’opzione di andare al voto politico anticipato?

Non è che gli altri leader trasmettano un’immagine di chiarezza e univocità su questi punti, ma più che altro perché dicono e si contraddicono, cambiano idee e tessono relazioni, senza avere forse ancora nemmeno loro una bussola. Ma tutto avviene, nel loro caso, alla luce del sole. A ben pensarci, è da escludere che Giuseppe Conte e i democratici non stiano facendo lo stesso, ma il fatto che nulla trapeli rende tutto ancora più ambiguo.

L’unica frase di rilievo pronunciata su queste faccende da Letta è ormai vecchia di qualche settimana: assicurava che non avrebbe favorito il voto anticipato anche se a lui converrebbe. C’è da credergli per una parte, ma per l’altra bisogna ammettere che puntare alla stabilità di governo una qualche altra sconvenienza per il Pd dovrà pure averla. In politica non si fa nulla per nulla. Fosse pure solo quella di apparire come i soli dotati di “senso dello Stato”. C’è poi anche chi dice che Letta menta e che in verità abbia un patto con Giorgia Meloni per portare Mario Draghi al Quirinale e andare subito al voto. Chi più di tutti crede che questa storia del patto abbia una sua plausibilità è forse Matteo Renzi. E in questo senso si spiegherebbe quella che potrebbe essere un’azione di depistaggio, cioè “riappacificarsi” con Paolo Gentiloni e far capire che sarebbe disposto a votarlo: quel Gentiloni che, oltre ad essere gradito all’Europa, ed essendo perciò naturaliter papabile al Colle, non potrebbe non avere l’assenso del Pd, cioè del suo partito, e forse potrebbe pescare anche qualcosa in Forza Italia.

Che la tesi del depistaggio non sia campata in aria è per me dato dedurlo da due fattori: dal fatto che Renzi non fa mai trapelare, e nemmeno lasciare intuire, le sue vere intenzioni; e dal fatto che la sua vera partita la gioca contro Letta e i democratici, e solo in questa prospettiva sarebbe anche disposto a convergere sul voto con la destra. È in questo contesto che l’ipotesi Berlusconi non è affatto implausibile, anche se a qualcuno, rimasto fermo a qualche stagione politica fa, potrebbe sembrare inverosimile.

Ovviamente, tutte queste ipotesi e contro-ipotesi, questi “giochetti”, fanno i conti senza l’oste, e cioè senza Mario Draghi. In effetti, se il presidente del Consiglio decidesse di scendere in campo, Letta non potrebbe certamente opporsi. E non solo lui, in verità. Quel che si può dire di sicuro è che Draghi metterebbe sul tavolo il suo nome solo a ben precise condizioni: che la maggioranza disposta a votarlo sia ampia e soprattutto che il rischio di “franchi tiratori” sia ridotto al minimo; che si convinca che dal Quirinale possa comunque svolgere, e per più tempo, il suo ruolo di garanzia verso i mercati e verso l’Europa, e quindi continuare a fare il bene del Paese; che il rischio che il nuovo governo mandi tutto per aria comunque quanto si sta provando a costruire sia ridotto al minimo, si vada o non si vada alle elezioni anticipate.

Ovviamente, delle tre condizioni, l’ultima è ad occhio la più difficile a realizzarsi: se i partiti o una qualsiasi maggioranza fosse stata in grado di garantire questo, forse l’ex banchiere centrale non sarebbe stato nemmeno chiamato a “salvare” la patria. Certo, Letta vorrebbe provarci. Ma anche per lui non è semplice: alleato con una forza in crisi e sostanzialmente “inaffidabile” come i Cinque Stelle da una parte, ostracizzato da Renzi e a sua volta ostracizzandolo, dall’altra, si starà rendendo conto forse che il suo “campo largo” tede a restringersi ogni giorno di più. Con un “campo stretto” non si va da nessuna parte. E quindi meglio non parlare e aspettare che gli eventi maturino da soli. Certo, un Pd che non elegge il Capo dello Stato, sarebbe una novità. E forse l’unico vero segno di discontinuità col passato di una legislatura nata sotto tutt’altri segni. E persino, direi, con conati “rivoluzionari”.

 


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