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Fedez è stato spietato, anzi disumano, con la politica

Ha avuto il merito di comprendere come la polarizzazione online e offline di una sua discesa in campo fosse il propellente ideale per sostenere la promozione del suo lavoro. Però in questo scambio, lui ha preso tutto quello che poteva, senza dare nulla in cambio alla politica italiana. L’analisi di Domenico Giordano di Arcadia

Fedez è stato spietato anzi, di più, questa volta è stato disumano, come il titolo del suo ultimo lavoro discografico in uscita il prossimo 26 novembre.

Spietato perché non ha avuto remore nell’affondare le dita di entrambe le mani nella piaga di una politica da tempo castrata di ogni credibilità, solo per guadagnarne cinicamente decine di titoli, centinaia di migliaia di interazioni social e rilanci da una platea variegata di influencer, giornalisti e politici – quest’ultimi i più esposti e vulnerabili rispetto all’ipotesi paventata, che già lontano un miglio mostrava il suo essere pezzotta, finta – di una sua discesa in campo nelle elezioni politiche del 2023.

Fedez ha avuto il merito di comprendere come la polarizzazione online e offline di un suo impegno politico, per quanto altamente improbabile e claudicante, fosse il propellente ideale per sostenere di questi tempi – con le continue fiammate dai novax ai no green pass, dal flop del ddl Zan alla telenovela quirinalizia – la promozione del suo lavoro artistico.

Così, adesso che il mistero sulle intenzioni che si celavano dietro la registrazione del dominio www.fedezelezioni2023.it è svelato (un dominio che già oggi potrebbe essere tranquillamente rivenduto con una richiesta di almeno cento volte il valore di acquisto), però, rimane sul tavolo una domanda alla quale provare a dare una risposta: con questa operazione di marketing discografico quanto Fedez ha sottratto alla già debole reputazione della nostra classe dirigente e quanta  credibilità ha eroso ulteriormente alla politica italiana?

Viceversa, quanto l’intuizione del rapper milanese, all’anagrafe Federico Leonardo Lucia coniugato con Chiara Ferragni, può aver di contro restituito valore e considerazione alla politica italiana?

Per dirla tutta, lo scambio si è consumato a tutto vantaggio di Fedez che ha trafugato dalla cassapanca della politica solo ciò gli tornava utile, come il cliché del politico che veste in giacca e cravatta o la costruzione circolare a forma di simbolo elettorale del logo Disumano, senza lasciare nulla in cambio.

A cominciare dall’aver alimentato con la sua iniziativa quella diffusa e pericolosa convinzione, in chi ha pensato che le sue battaglie social potessero trovare nel breve una reale declinazione partitica, che la politica al pari di altre professioni non presupponga la conoscenza profonda dei problemi o che richieda il possesso di competenze specifiche per non far danni.

Per diversi anni, in particolare dopo l’ubriacatura dell’uno vale uno, molti italiani hanno continuato a credere che tutti possiamo far politica e candidarci a ruoli di governo, perché abbiamo estirpato la radice dell’agire politico quale mestiere che impone sempre più risposte efficaci a domande assai complesse.

Non di meno, il larghissimo successo e l’attenzione riservati nell’ultima settimana al paventato ingresso di Fedez in politica sono il termometro di quanto la nostra classe politica sia discreditata nell’opinione pubblica nazionale e di quanto agli italiani andrebbe bene una Ferragni o un Fedez qualsiasi pur affossare gli attuali rappresentanti.

A loro volta, a riprova che gli stessi politici sono pienamente coscienti del prolungato tradimento fiduciario nel rapporto con i cittadini, nessuno dei nostri leader, piccoli o grandi, si è sognato di replicare a Fedez come impudentemente fece nel 2009 Piero Fassino dopo i prima vaffa di Grillo: “se vuol fare politica,  fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende”.



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