Serbatoio di voti decisivi nell’elezione del Presidente della Repubblica e laboratorio di futuri equilibri e di possibili nuovi soggetti politici, quali scenari ci saranno per il luogo di una politica democratica e liberale oltre questa legislatura? La riflessione di Corrado Ocone
In un vecchio sketch che gira su YouTube, a Checco Zalone viene chiesto se è di centro-destra o centro-sinistra. E lui risponde che è di centro-dietro, nel senso che vede da dietro come evolve la situazione e poi si butta da una parte o dall’altra, cioè con il vincitore. Una certa dose di opportunismo viene assegnata sempre a chi occupa lo spazio politico centrista, e non fanno certo eccezione coloro che lo occupano in questa legislatura già di suo segnata da un record forse imbattibile di trasformismo.
Eppure, il centro ha anche un valore ideale: è il luogo per antonomasia di una politica democratica e liberale, quello in cui le pulsioni estremistiche, o semplicemente di parte, dovrebbero comporsi e trovare positiva soluzione (Croce non esitava a definirsi di centro, ad esempio). Comunque sia, è evidente che in questo momento politico, il centro, occupato da gruppi e cespugli di varia fattura con leader alquanto narcisisti e spesso in competizione fra loro, è guardato con un interesse tanto intenso da andare forse oltre il suo peso specifico. E lo è per due motivi: come serbatoio di voti (circa un centinaio) decisivi nella sciagurata ipotesi che il nuovo Presidente della Repubblica sia eletto coi voti di una sola parte politica; e perché esso è probabilmente il laboratorio di futuri equilibri e di possibili nuovi soggetti politici che andranno anche oltre questa legislatura.
Prima di tutto, l’idea del Grande Centro. Diciamo che è abbastanza improbabile, allo stato attuale: sia perché mancano i numeri, sia perché le forze centriste attuali sono in parte orientate a destra e in parte a sinistra. I tempi della Democrazia Cristiana, dai quali alcuni dei loro leader provengono (penso a Gianfranco Rotondi), sono ben lontani, in tutti i sensi.
D’altronde è difficile che essi fungano da polo di attrazione per gli opposti schieramenti. Ad esempio, è più facile immaginare che alcuni degli uomini di Matteo Renzi, giusto per fare un esempio, tornino nella casa madre (proprio in queste ore si parla di qualche “fuga” già in preparazione) che non accada l’inverso. Renzi, d’altronde, nel Pd, in un ruolo secondario, non ritornerebbe mai, e tanto meno fino a che c’è Enrico Letta come segretario. Da qui il suo guardare a destra, soprattutto in previsione del voto quirinalizio. Sarebbe una alleanza di comodo (sui diritti e su tanto altro Renzi resta ideologicamente a sinistra), ma non è da escludere: l’affossamento del decreto Zan al Senato potrebbe essere stato una prima prova di convergenza in tal senso.
Per Azione di Carlo Calenda e per i radicali di Emma Bonino, il problema non si pone: la convergenza, e nel caso della Bonino anche qualcosa di più, è nei fatti. Decisamente orientati a destra sono invece gli esponenti di Coraggio Italia-Cambiamo, il partito di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, che pure manifesta in queste ore insoddisfazione per il non essere tenuto in debita considerazione dai tre leader del centrodestra, arrivando a minacciare di non votare per Silvio Berlusconi se si dovesse creare un asse a suo favore per il Colle (il che, essendo alcuni di loro “creature” del Cavaliere, suona anche come un parricidio nonché un po’ come ingratitudine, ammesso e non concesso che questo sentimento possa avere un valore in politica).
C’è infine, da non sottovalutare, il tema del sistema elettorale. Un eventuale sistema proporzionale esalterebbe ovviamente il centro, ma farebbe perdere agli italiani quella possibilità di scegliersi il governo nelle urne che solo il maggioritario può dare (anche se quello annacquato del Mattarellum nemmeno questo ha potuto garantire). In ogni caso, il futuro del centro è nelle mani degli elettori, i quali prima o poi diranno la loro e sgonfieranno forse molte delle pretese e velleità dei loro leader attuali.