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Vi spiego il rischio lockdown giudiziario su iscrizioni a ruolo. Scrive Lucarella

Di Angelo Lucarella

I giuristi ripongono forti perplessità sull’art. 192 della legge di Bilancio che va a modificare il Testo Unico dpr 115/2002. Tale norma autorizzerebbe ad utilizzare una sorta di “tagliola” laddove il cittadino non fosse capace di pagare interamente il famoso contributo unificato ovvero l’omettesse. Prevede quindi il divieto di iscrizione a ruolo in caso di mancato pagamento

In epoca Covid il termine di confinamento, se pensiamo al suo inglesismo, si presta precisamente ad inquadrare come la bozza della legge di Bilancio 2022, capitolo entrate per spese di giustizia, rischia di portare il lavoro by Cartabia ad essere frainteso e sminuito per effetto dell’art. 192 (in modifica del Testo Unico dpr 115/2002).

Quale sarebbe la relazione tra una norma finanziaria con il fronte giudiziario in termini di buon andamento, da una parte, e di garanzie di tutela effettiva per il cittadino dall’altra parte?

Si badi bene che l’art. 192, disposizione insidiosissima su cui il mondo dei giuristi ripone forti perplessità di bontà politico-amministrativo-giurisdizionale, è collocato nel Titolo XIV della bozza suddetta denominata “Disposizioni in materia di entrate”.

Tale norma autorizzerebbe la complessa macchina burocratico-giudiziaria ad utilizzare una sorta di “tagliola” laddove il cittadino non fosse capace di pagare interamente il famoso contributo unificato ovvero l’omettesse (e ciò a prescindere dalle ragioni di fondo).

Infatti si legge nella disposizione in analisi che, tenuto conto esemplificativamente della accennata casistica su indicata, il personale incaricato “non deve procedere all’iscrizione a ruolo”.

Inciso, quest’ultimo, che se da un punto di vista ragionieristico potrebbe sembrare lineare, è del tutto palesemente di riflesso incostituzionale (e su cui non mancherà intervento della Corte delle leggi laddove dovesse essere approvato).

Il motivo risiede almeno in due punti di logica giuridica:

– il primo in ordine al diritto inviolabile di difesa di ogni cittadino italiano secondo l’art. 24 della Costituzione;
– il secondo in ordine al principio, altrettanto inviolabile, di ricorso effettivo al sistema giurisdizionale enunciato sia dalla Convezione europea dei diritti dell’uomo che dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Ovviamente è chiaro che quanto qui rappresentato porta la riflessione sul “perché” di una norma del genere. Da dove origina veramente? È voluta dal ministero dell’Economia o dal ministro dell’Economia? Potrebbe sembrare, apparentemente, la stessa cosa, ma chi sa come funzionano queste cose sa anche che non è così.
Fare “cassa” non equivale a “cassare”.

Nel mondo giuridico il termine cassare, infatti, sta a significare cancellare, depennare, ecc.
Basta un breve navigare su internet per comprenderlo; tuttavia si preferisce sempre la sana e sacra etimologia (cassare = vano, inutile, senz’effetto).

Allora c’è un problema di fondo sull’art. 192 ed è evidente: non è solo giuridico, ma soprattutto politico. Chi ne è l’artefice non è interessante. Piuttosto è importante saperne di più della mentalità giuridica, economica, democratica, ecc.

È importante sapere il perché di questa disposizione. Il motivo reale. Senza illuderci di giustificare il quadro normativo incorniciato con la relazione illustrativa od accompagnatoria alla legge di bilancio: dalla riduzione del contenzioso, al più facile e celere incasso erariale dei contributi di giustizia, ecc. se ne potrebbero sentire tante.
Macché. Tutto il contrario.

Se un cittadino non ha la liquidità temporale per pagare la spesa di giustizia non significa che, contestualmente, possa accedere al beneficio del patrocino a spese dello Stato.

E la perdita per la società è grave: il cittadino non può difendersi, lo Stato non si carica la responsabilità di assicurare un diritto inviolabile, ma anzi lo aliena a fronte di una dazione economica su cui rinuncia ad investire (in termini di indebitamento riscossivo esattoriale) cosicché si giunge alla sfiducia verso il sistema e nel sistema. Sempre per l’inglesismo imperante: “no money, no justice”.

Sorge, allora, una domanda spontanea. A che serve il servizio di riscossione a questo punto?
A che serve impegnarci nella sana riforma della giustizia se a monte c’è un contrasto evidente tra burocrazie?
E che nessuno venga a raccontare che c’è colpa diretta di Draghi o del Governo su questo art. 192.
Sì colpa c’è, ma andiamo a fondo.

Qui c’è una colpa maggiore e che afferisce a quella latitanza di cultura politica che permette di farsi seminare attorno, a piccole dosi, livelli di potere per il funzionario di turno.

Torniamo alle radici del perché i lockdown sanitari sono un conto, quelli giudiziari invece possono davvero esserne un altro. Molto salato. E qui il discorso di ragioneria non c’entra. Ai Costituenti l’ardua sentenza.

 

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