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Il Pnrr, le infrastrutture e il cartello stradale di Codogno

Di Alessandro Fontana

Il problema che affligge l’economia italiana non è il cartello di Codogno. Il problema è la mentalità che ha prodotto (e continua a produrre) i cartelli storti in tutta Italia. È una mentalità che prescinde dalle procedure, irride alla pianificazione, ignora la manutenzione e, trasposta nel settore privato, ostacola la crescita aziendale

Il Pnrr consentirà il finanziamento di importanti progetti infrastrutturali, ad esempio nel campo della mobilità. I progetti, come dichiarato dal ministro Enrico Giovannini a Rimini presso Ecomondo, dovranno soddisfare requisiti multipli: dovranno essere concepiti in una logica di interconnessione che mette in relazione diverse modalità di trasporto; dovranno contribuire a ridurre le emissioni e il consumo di risorse, le disuguaglianze di genere e territoriali; dovranno essere progettate in un’ottica di “Mitbestimmung”, coinvolgendo nel dibattito le comunità locali (fonte: Adnkronos, sintesi mia).

Si è discusso a lungo, nel dibattito pubblico, sulla priorità da assegnare ai grandi progetti infrastrutturali volti ad aprire nuove arterie di comunicazione (treni ad alta velocità, ponte sullo stretto), rispetto ad interventi più capillari su scala regionale e provinciale (trasporto locale). Questo articolo vuole mettere in luce un altro aspetto della questione: dopo essere state realizzate, le opere devono anche essere manutenute.

Quando il Covid apparve per la prima volta nel nostro Paese, prese di mira una piccola città lombarda sconosciuta ai più: Codogno. Le immagini delle case, dell’ospedale di Codogno, fecero il giro del mondo. Tra tutte queste immagini, una mi colpì in particolare: una foto ritraente il cartello stradale con la scritta “Codogno”, che di solito viene posto all’inizio o alla fine del territorio comunale. E non per motivi inerenti alla pandemia.

Il motivo per cui il cartello stradale di Codogno attirò la mia attenzione era legato allo stato di manutenzione dello stesso: il cartello era sbiadito, arrugginito, storto e circondato da altri cartelli e pali in condizioni simili. Naturalmente non si tratta di uno spettacolo inconsueto: lo stato di manutenzione delle infrastrutture pubbliche può essere osservato in pressoché qualsiasi comune Italiano. Mentre è praticamente impossibile riscontrare qualcosa di analogo nel Sud della Germania, dove risiedo.

L’istinto primordiale porterebbe a ribattere dicendo: con tutti i problemi che ci sono, il cartello storto non è certo una priorità! Occorre favorire la transizione digitale, disseminare l’Italia di startup ecologiche, giusto? Ebbene… no: potrebbe essere utile concentrarsi sul cartello di Codogno, per due motivi.

Il primo motivo è estetico. Gli Italiani si vantano di essere gli ambasciatori mondiali del senso del bello, di cui avrebbero il copyright. E io mi chiedo, ormai da diversi decenni: dov’è finito il senso del bello? Cos’è rimasto dello spirito rinascimentale? Le cose belle presenti in Italia sono state fatte dalla Natura o da nostri antenati ormai lontani nel tempo. Le cose prodotte di recente hanno invece la tendenza ad essere piuttosto brutte o, se anche all’inizio non lo sono, a diventarlo per carenza di manutenzione.

C’è però un secondo motivo che giustifica l’attenzione dedicata al cartello di Codogno: potrebbe aiutarci a risolvere i “problemi veri”. Per dimostrarlo partirò da un’analogia informatica. Quando si scrive un programma informatico, ci sono sempre degli errori (“bugs”) che devono essere corretti. Tali errori si manifestano con un comportamento del programma non conforme alle specifiche: ad es. il programma dovrebbe stampare il peso in kg di una persona (solitamente compreso fra 50 e 100) e invece stampa un numero improbabile, tipo 250. Se il programma è complesso, trovare l’errore può essere un’impresa non banale.

Esistono metodi di debugging più o meno sofisticati, anche se il problema è ancora irrisolto dal punto di vista teorico e pratico. Una tecnica di debugging casereccia consiste nell’intercettare tutte le anomalie che saltano all’occhio, anche se apparentemente non collegate con il problema iniziale. Il programma potrebbe, ad esempio, usare un fuso orario sbagliato, cosa che sembrerebbe non c’entrare molto con l’errore sul peso. L’esperienza però insegna che le anomalie sono spesso interdipendenti e seguire una traccia può aiutare a risolvere altri problemi. E in ogni caso, correggere un problema, anche se marginale, male non fa.

Ecco, il cartello storto è esattamente questo: un’anomalia, qualcosa che non ci dovrebbe essere, la cui comprensione potrebbe far luce su altre questioni. Il problema che affligge l’economia italiana non è naturalmente il cartello di Codogno. Il problema è la mentalità che ha prodotto (e continua a produrre) i cartelli storti in tutta Italia. È una mentalità che prescinde dalle procedure, irride alla pianificazione, ignora la manutenzione e, trasposta nel settore privato, ostacola la crescita aziendale.

Uno dei precetti che sento recitare da decenni è “fare le cose in ordine di priorità”. Sembra che la capacità di eseguire i task in ordine di priorità decrescente sia una delle competenze manageriali più importanti. Il problema è che, ragionando in termini di priorità, il cartello storto non verrebbe mai sistemato, perché ci saranno sempre altre priorità: finanziare i servizi sociali, un giardino pubblico, aumentare gli stipendi, ecc. L’approccio gestionale “secondo priorità” va sostituito da un approccio “secondo procedure”. Questo approccio prevede che tutte le azioni vengano eseguite, anche se apparentemente non prioritarie. Un approccio che richiede organizzazione e disciplina.

La mia impressione è che il successo economico a livello globale si stia polarizzando attorno a tre grandi clusters: Nord Europa, Nord America, Nord-Est Asia (Cina, Corea del Sud, Giappone). I popoli di queste regioni sono caratterizzati da un forte senso della disciplina e da una notevole capacità organizzativa, doti che danno origine ad una spiccata “intelligenza collettiva” e ad un cospicuo “capitale sociale”.

D’altra parte, queste erano anche le caratteristiche degli Antichi Romani, dalla cui stirpe noi italiani ci pregiamo di discendere. Caratteristiche che li resero capaci di gestire le grandi aziende del tempo: esercito, strade, acquedotti. Ecco perché non ho smesso di coltivare la speranza che tali antiche virtù possano essere riattivate anche alle nostre latitudini.

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