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L’indice Desi 2021, sfida all’Italia per una rinnovata competitività digitale

La Commissione europea con la relazione annuale Digital Economy and Society Index (Desi), monitora i progressi digitali degli Stati membri. L’indice però non offre solo una notevole mole di dati con i quali analizzare e ipotizzare nuovi scenari, ma si pone come visione sul futuro per raccogliere la sfida della digitalizzazione e portare l’Italia ai livelli di competitività superiori a quelli della media europea. L’intervento di Michelangelo Suigo, direttore Relazioni esterne, comunicazione e sostenibilità, Inwit

L’annus horribilis 2020 ci ha trasportato in una nuova normalità, nella quale abbiamo contrapposto a nuovi problemi soluzioni innovative, spesso con buoni risultati. Dopo quest’ultimo periodo è infatti ormai del tutto impossibile ignorare il ruolo della digitalizzazione quale elemento cardine della nostra organizzazione sociale. A tal proposito, la Commissione europea con la relazione annuale Digital Economy and Society Index (Desi), monitora i progressi digitali degli Stati membri proprio nell’anno del più radicale cambio di paradigma dal dopoguerra ad oggi.

L’indice Desi 2021 mostra infatti per l’Italia una situazione di miglioramento, collocandola al 20esimo posto su 27 rispetto al 25esimo dell’edizione precedente. Entrando nel dettaglio, a pesare particolarmente sulla rilevazione è la voce del capitale umano, un tallone d’Achille dello sviluppo digitale, che vede il Paese al 25esimo posto tra i 27 dell’Unione. Infatti, solo il 42% delle persone fra i 16 e i 74 anni ha competenze digitali almeno di base e solo il 3,6% degli occupati è specializzato in tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic). Un dato allarmante, che rischia di allontanare gli obiettivi del digitale italiano, soprattutto perché nei prossimi anni avremo bisogno di personale qualificato per allineare il Paese ai programmi di sviluppo prefissati. Sul fronte della connettività, nonostante un 23esimo posto in Europa con il punteggio complessivo di 42,4 (50,2 media Ue), si registrano alcuni miglioramenti significativi.

Nel 2020 il 3,6% delle famiglie disponeva di una velocità di almeno 1Gbps: meglio rispetto al 2019, quando l’indice Desi segnava addirittura uno <0,01%. Un salto quantitativo e qualitativo che alza l’asticella dell’Italia al di sopra della media Ue (1,3%). Bene invece l’integrazione delle tecnologie digitali che vede l’Italia al 10° posto.  Non altrettanto positiva, invece, la performance delle imprese italiane sul ricorso ai big data e all’intelligenza artificiale: i primi vedono un utilizzo del 9% delle imprese rispetto a una media Ue del 14%; la percentuale della seconda si attesta invece al 18% contro media Ue del 25%.

Sono dati che nel loro insieme riflettono un trend positivo, che non solo dovrà essere confermato ma che, in base agli obiettivi del Pnrr, dovrà essere decisamente migliorato da qui ai prossimi 5 anni. Con il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza l’Italia punta a diventare uno dei Paesi più connessi e meglio serviti dal 5G. Un traguardo che, se tradotto nell’indice Desi, dovrebbe portarla a scalare le posizioni sino a raggiungere nel 2026 i vertici della classifica. Il governo Draghi, a tal proposito si sta muovendo nella direzione di assecondare la rivoluzione digitale sul territorio nazionale. La Strategia Italiana per la Banda Ultralarga, approvata dal Comitato interministeriale della transizione digitale, così come il Piano Italia 1 Giga e il Piano Italia 5G hanno evidenziato come sia necessario utilizzare tutte le tecnologie fisse e mobili attualmente disponibili per raggiungere gli obiettivi sulla “Gigabit Society” concordati con la Commissione Europea per l’attuazione del Recovery Plan.

Anche il Decreto “Governance Pnrr e Semplificazioni”, approvato lo scorso luglio, include una serie di misure incisive per velocizzare i processi di realizzazione delle reti ultraveloci. Si tratta senza dubbio di iniziative fondamentali per accelerare lo sviluppo delle infrastrutture digitali e incentivare gli operatori ad incrementare i propri investimenti. Lo stesso report Desi, infatti, riconosce che “I decreti legge “Cura Italia” e “Semplificazioni 2021” prevedono misure volte ad aumentare la copertura 5G. I decreti impongono, in particolare, limitazioni al potere di veto alla posa di antenne da parte degli enti locali. I limiti delle emissioni elettromagnetiche sono di 6 V/m e 0,1 Watt/m2, inferiori ai massimali indicati nella raccomandazione del Consiglio.”

Si tratta tuttavia di iniziative che stanno riscontrando molteplici disapplicazioni da parte di numerosissime amministrazioni e che, verosimilmente, necessiteranno di essere affiancate da altri interventi per non rischiare di risultare insufficienti per l’ambizioso traguardo. Come ha fatto notare il ministro dell’Innovazione tecnologica e transizione digitale Vittorio Colao, la prima trasformazione che deve contraddistingue l’Italia è quella sulla produzione di regole: uno Stato che ambisce a innovare deve avere poche e semplici regole, decisioni chiare, trasparenti e prese in tempi rapidi.

Un dato a dir poco preoccupante sono le difficoltà legate all’applicazione delle norme di semplificazione, che spesso non vengono messe in atto dagli enti locali, gravando sui tempi di realizzazione delle opere necessarie. Non ultimo, il problema culturale attorno alle tecnologie di quinta generazione che spesso sono ostaggio di fake news e disinformazione. Gli sforzi, quindi, rischiano di affondare nelle paludi burocratiche e disinformative e dovranno essere accompagnati da una forte mobilitazione culturale finalizzata a diffondere una corretta informazione sul 5G, motivo ulteriore per assicurare che le nuove competenze siano formate in tempi rapidi. La strada per vedere l’Italia ai vertici della classifica dell’Indice Desi è lunga e non priva di ostacoli, ma questo è l’obiettivo che ci siamo posti e oggi abbiamo tutti gli strumenti necessari per raggiungerlo. L’indice Desi non offre solo una notevole mole di dati con i quali analizzare e ipotizzare nuovi scenari, ma si pone indiscutibilmente come visione sul futuro per raccogliere la sfida della digitalizzazione e portare l’Italia ai livelli di competitività superiori a quelli della media europea.

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