Con la stretta per la pandemia in Russia il governo restringe anche le libertà, dalla stampa all’arte. L’ultima finita nel mirino è la memoria: ora l’associazione che ricorda le vittime di Stalin&Co rischia di chiudere. Il Cremlino ha l’ultima parola su tutto, anche il passato. Il commento del professor Giovanni Savino (Accademia presidenziale russa, Mosca)
Il 2021, anno secondo della transizione apertasi con le riforme costituzionali, ha segnato l’approfondirsi di tendenze autoritarie e repressive nella Russia putiniana. All’aumento del numero di testate e di giornalisti inclusi nella lista degli “agenti stranieri” si susseguono altri eventi, non meno preoccupanti per la tenuta degli spazi di libera discussione e di autonomia, relativa o meno, dal mainstream di governo.
Le minacce di chiusura di Memorial, l’associazione che sin dal 1987 si occupa della memoria delle persecuzioni politiche in Unione Sovietica, è l’ultima, importante, notizia di questi giorni: la richiesta della procura generale russa di arrivare alla liquidazione di Memorial per violazione delle norme previste dalla legge sugli “agenti stranieri” rappresenta una preoccupante volontà di sottoporre a ulteriori limitazioni la parola e la memoria in Russia.
Memorial è sotto attacco non perché il Cremlino voglia riabilitare il Terrore staliniano, ma per l’essere anche una concorrente nelle politiche della memoria in Russia. Infatti, vi è un Museo statale della storia del Gulag a Mosca molto frequentato, e lo stesso Putin ha inaugurato il Muro del Dolore, monumento in ricordo delle vittime delle repressioni degli anni Trenta e Quaranta, ma al tempo stesso le posizioni in difesa dei diritti politici e umani messe in campo da Memorial sono viste come pericolose dal Cremlino.
Amara coincidenza, l’attacco a Memorial coincide con il centenario dalla nascita di Andrey Sakharov, il padre della bomba all’idrogeno e successivamente premio Nobel per la pace per la sua attività in difesa dei diritti umani in Urss, e preoccupa come la pressione delle autorità possa mettere a rischio il grande archivio dell’associazione, con più di sessantamila fondi, e le raccolte di documenti, riviste, memorie e testimonianze del dissenso in età sovietica.
Il monopolio della memoria e della storia da parte governativa, in questo senso, rientra nella più ampia ricerca di una legittimazione del sistema attuale come unico possibile percorso di sviluppo per la Russia. Un sistema che non vuole avere concorrenti, e per il quale, in un periodo particolarmente delicato come quello della transizione, vi è la necessità di affermare la propria forza, anche quando si inizia a vedere l’intensificarsi delle lotte interne, coinvolgendo personalità e strutture lontane dalla variegata area d’opposizione russa.
In quest’autunno la vicenda di Sergey Zuev, rettore della Scuola moscovita di scienze economiche e sociali (detta Shaninka dal cognome del fondatore, lo storico Theodor Shanin) e direttore dell’Istituto di scienze sociali dell’Accademia presidenziale russa, è emblematica di come la repressione oggi si scateni su quei settori considerati “fuori dalle righe”.
Zuev è accusato di aver partecipato a uno schema di appropriazione dei fondi del Ministero dell’Istruzione, quando viceministro era la vicepresidente di Sberbank, la principale banca russa, Marina Rakova. In realtà la Rakova, arrestata a inizio ottobre, si è trovata coinvolta in un complicato scontro ai vertici, che ha visto come protagonisti l’ex ministro dell’Istruzione Olga Vasileva e gli organi di sicurezza (i noti siloviki) contro la già viceministro e la Sberbank, diretta da German Gref, considerato uno dei principali “liberali del sistema” (sistemnye liberaly).
Zuev, personalità di spicco dell’accademia russa, decorato dell’Ordine d’onore della Federazione Russa per i successi ottenuti in campo universitario, si è trovato coinvolto nello scandalo, probabilmente perché qualcuno ha ritenuto di dover adempiere alla “normalizzazione” dell’Istituto di scienze sociali e alla distruzione della Shaninka, rendendo le due istituzioni conformi al confuso mix di conservatorismo post-moderno e con velleità nazionalistiche e imperiali, patinato di ortodossia, tanto in auge in certi ambienti del potere.
L’atmosfera generale, in questo secondo anno di transizione alla russa, è sempre più incerta, con l’incognita delle ulteriori evoluzioni della pandemia e delle sue conseguenze in campo socioeconomico. L’attacco portato avanti da alcune “torri” del Cremlino verso gli avversari è forte, e ogni giorno sembra intensificarsi, aumentando le contraddizioni nella società e minando i complessi equilibri alla base del sistema.
In questo contesto, si registra una difficoltà sempre più forte nel conservare spazi di pluralismo e di autonomia nella società, dovute anche alle azioni dei siloviki e della magistratura contro coloro che vengono reputati una minaccia al proprio potere. Quali saranno le mosse di Putin per preservare il compromesso nelle élite russe?