La manovra 2021 è sì ecumenica, ma interlocutoria, scritta con il fiato sospeso, per così dire, sulla pandemia, la ripresa economica e il loro incerto decorso. L’analisi di Pasquale Lucio Scandizzo
La legge di Bilancio, approvata il 29 ottobre in bozza dal Consiglio dei ministri, traduce in 185 articoli (a cui se ne aggiungeranno molti di più se, come di tradizione, il governo presenterà un maxiemendamento per accomodare e conciliare le richieste dei suoi molteplici sostenitori) i provvedimenti del governo a seguito della strategia delineata nel Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e nel Nadef (Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza).
La manovra macroeconomica presentata prevede una spesa aggiuntiva rispetto alle previsioni del cosiddetto scenario tendenziale (lo scenario che si verificherebbe in assenza della manovra), di 30 miliardi di euro, e un deficit di 110 miliardi, pari al 5,6% del Pil. La politica congiunturale proposta è quindi espansiva, e a fronte di un forte rimbalzo dell’economia (crescita del Pil + 6% nel 2021), mantiene un deficit relativamente elevato, molto di più dell’1,6% del 2019, quando il Pil cresceva dello 0,3% e ancora vigevano le regole del patto di stabilità e crescita ora sospeso.
Ma siamo in una situazione mai prima sperimentata di crisi economica e sanitaria globale e lontanissimi dalle condizioni che prevalevano prima che la pandemia scompaginasse l’ordine economico mondiale e le contrapposte certezze degli economisti delle diverse scuole di pensiero. Le ragioni che possono essere invocate per il deficit elevato sono facili da comprendere: l’economia italiana è in forte espansione, ma si tratta in gran parte di un rimbalzo dalla caduta senza precedenti dovuta alla pandemia.
La ripresa appare fragile ed essenziale per la sua persistenza, appare la fiducia dei consumatori e delle imprese. Anche il Fondo monetario internazionale raccomanda quindi di continuare a somministrare stimoli espansivi, nonostante predichi l’allerta verso i soliti sospetti: l’inflazione e il debito pubblico. La minaccia dell’inflazione è però considerata per il momento non preoccupante dalla Banche Centrali, e l’impennata dei prezzi delle materie prime sembra anch’essa un fenomeno temporaneo.
Tuttavia, la logistica e le catene del valore sono in crisi e si stanno riorganizzando con fatica e con prospettive incerte in un mondo ancora attraversato dalla pandemia e dalla incertezza sui suoi sviluppi futuri e sulle sue ricadute globali. Ciò detto, la manovra propone e in parte rielabora politiche e interventi alla luce dei nuovi dati e del quadro economico complessivo del Paese e del resto del mondo. Essa prende atto del fatto che le misure messe in campo per l’edilizia hanno funzionato, e che quindi vanno confermate, mentre quelle per le pensioni e il reddito di cittadinanza hanno bisogno di aggiustamenti e, appena possibile, di riforme che rendano entrambe le politiche finanziariamente e socialmente sostenibili.
Quest’ultimo obiettivo non è facile da raggiungere per entrambe le misure, per ragioni diverse, e in entrambi i casi sembra che il governo abbia deciso di rimandare una soluzione duratura nella speranza di renderla gradualmente accettabile ai partiti e alle parti sociali. Sul versante del fisco, la manovra mette in campo risorse per 24 miliardi di euro nei tre anni 2022-2024. La cifra sembra troppo piccola per ridurre significativamente Irpef e Irap e non si inquadra chiaramente in una strategia complessiva di riforma della tassazione, riduzione del cuneo fiscale, aumenti della produttività dei fattori e miglioramenti della distribuzione del reddito.
La strategia ridistributiva dovrà combinare efficienza ed equità secondo la riforma organica che si spera emergerà dall’esercizio della delega fiscale. Al momento l’assenza di un quadro organico di riferimento fiscale e contributivo si vede anche dal trattamento delle pensioni e dalla lodevole, ma parziale estensione degli ammortizzatori sociali. Una certa confusione sull’equità distributiva caratterizza anche la limitazione del superbonus con un tetto di 25 mila euro di reddito per i proprietari di case unifamiliari, che appare troppo basso, arbitrario e discriminatorio. Considerata la correlazione tra evasione fiscale e abusivismo edilizio, la misura rischia di penalizzare i contribuenti onesti poveri e meno poveri, e di premiare gli evasori.
La legge proposta contiene alcune timide, anche se encomiabili, disposizioni per gli investimenti pubblici locali, la sanità, la ricerca e la scuola, ma il capitolo investimenti, a parte la conferma di alcuni incentivi e uno stanziamento di incerto e protratto impatto pluriennale (dal 2022 al 2036) di circa 89 miliardi, può essere interpretato solo nel quadro, tutto da risolvere, della programmazione del Pnrr. Questo nesso rimane elusivo e preoccupante poiché crescita e sviluppo dipendono in modo cruciale dalla componente investimenti pubblici, sia per la comprovata maggiore incidenza di questi ultimi rispetto alla spesa corrente, in termini di stimolo della domanda e di espansione dell’offerta, sia per l’effetto acceleratore che essi possono indurre negli investimenti privati, che sono il vero motore dell’economia nel breve e nel lungo termine.
Nel complesso, si tratta di una legge di bilancio ecumenica, ma interlocutoria, scritta con il fiato sospeso, per così dire, sulla pandemia, la ripresa economica e il loro incerto decorso. La legge distribuisce risorse, stimoli di spesa (e deficit) tra le parti in causa, senza un chiaro modello di intervento, ma usando generosità e buon senso. Nello sfondo, la speranza di uscire dall’emergenza e che le riforme e gli investimenti previsti dal Pnrr siano realizzati con successo.