Il problema della Libia? I libici. Nella confessione di un funzionario europeo c’è tutta la disillusione della Conferenza di Parigi. Con Haftar in corsa le elezioni promettono scintille. E ancora una volta si traccia una road map senza tener conto delle forze (straniere) ancora in campo. Il commento di Leonardo Bellodi
Il problema della Libia sono i libici. Così uno sconsolato funzionario europeo (non era italiano) si è espresso nei corridoi della Maison de la Chimie, sede della Conferenza Internazionale di Parigi sulla Libia.
In molti ritengono che l’instabilità libica sia dovuta alla presenza, diretta o indiretta, di forze straniere nel Paese. Ma secondo il funzionario, e non è l’unico a pensarla in questo modo, i termini dell’equazione devono essere invertiti. È la frammentazione della classe politica, sociale e militare del Paese a permettere la presenza di Stati esteri nel Paese che sono dunque l’effetto e non la causa della difficile situazione libica.
C’è del vero anche se dopo molti anni di guerre civile e intestine è diventato difficile operare una netta distinzione tra causa ed effetto. Ci troviamo di fronte a un circolo vizioso che, per una espressione aeronautica, fa sì che la Libia sia nel mezzo di un volo a vite.
Nell’emiciclo della sala conferenze, il Presidente del Consiglio Presidenziale Mohamed Yunis al-Menfie e il primo ministro del governo di unità nazionale Abdelhamid Dabaiba hanno cercato di nascondere il dissidio, per usare un eufemismo, che li contrappone ormai da molti mesi in patria su molti temi a cominciare da quello sulla legge elettorale.
Pochi giorni prima della conferenza, persone dell’entourage di Al Menfi hanno fatto trapelare che il presidente era non poco infastidito dal fatto che l’Eliseo avesse invitato il primo ministro che a suo parere, essendo stato il governo sfiduciato a settembre dal Parlamento, si doveva occupare soldi affari correnti. Dabaiba si è comunque presentato accompagnato in più dal ministro degli Affari Esteri, Najla al Mangoush, che era stata sospesa dal presidente lo scorso 6 ottobre per aver viaggiato all’estero senza autorizzazione. Screzi questi che la dicono lunga sul grado di divisone interna del Paese.
Una conferenza internazionale, l’ennesima dopo quelle di Parigi, Palermo, Berlino I e II e, incredibilmente, Tripoli, poco può fare per colmare lo stato ormai purtroppo cronico di divisione interna del Paese. Si è dunque concentrata sul percorso che dovrebbe portare la Libia alle elezioni il 24 dicembre prossimo, al ritiro delle forze straniere e alla equa ripartizione delle risorse economiche.
Se è vero che la Commissione elettorale libica (Hnec) ha già raccolto quasi 3 milioni di iscrizioni, bisogna considerare che non vi è ancora una legge elettorale: il parlamento di Tobruk l’ha approvata il 4 ottobre ma Tripoli l’ha immediatamente rigettata. Sono molti i punti ancora da chiarire e molto si discute sull’ eliminazione dell’articolo 12 relativo ai criteri dei candidati: se questo articolo fosse cassato, il primo ministro potrebbe presentarsi alle elezioni.
Altro problema è la figura di coloro che al momento si sono dichiarati candidati: Seif el-Islam Gheddafi, Khalifa Haftar e Khaled el Mishri. Personaggi parecchio divisivi. Non è un caso il ministro degli Affari esteri russo, Sergei Lavrov, da tutti considerato uno dei più intelligenti e acuti osservatori, abbia ribadito che non bisogna focalizzarsi sulla data delle elezioni.
C’è poi il tema del ritiro delle forze straniere. A un anno dal cessate il fuoco decretato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in Libia sono ancora presenti truppe straniere che combattono seppure con minore intensità.
Putin ed Erdogan, seppure invitati, non si sono presentati alla conferenza e hanno mandato loro rappresentanti. Non è un caso dal momento che sono gli attori che hanno forze militari in Libia. C’è però una grande differenza. La presenza turca è caratterizzata da militari che delle forse armate turche che sono state ufficialmente “invitate” dal governo libico, un’ipotesi contemplata dalla carta delle Nazioni unite. Le operazioni militari turche nel Paese sono dunque conformi al diritto internazionale. La Russia opera attraverso un organizzazione paramilitare, la Wagner, che non ha nessun legame istituzionale, per così dire, con il governo di Mosca.
Conseguentemente diversa è stata la reazione dei due Paesi al comunicato ufficiale alla fine della conferenza che chiedeva il ritiro delle truppe straniere. La Turchia ha posto una riserva formale. Mentre Lavrov ha in modo sibillino dichiarato a margine della conferenza che il ritiro deve avvenire in modo graduale per garantire il bilanciamento delle forze sul campo. Un capolavoro di detto e non detto.
Infine, sulle risorse la Conferenza ha posto l’accento sulla necessità della equa distribuzione dei proventi delle vendite di petrolio e gas tra le diverse regioni del Paese. Un tema che da sempre contrappone Cirenaica e Tripolitania e che non ha ancora trovato una soluzione che soddisfi l’Est del Paese.
A proposito di risorse. Per capire quanto sia intricata e ancora instabile la situazione della Libia basti pensare che alla domanda di quando i fondi statali saranno scongelati dalla comunità internazionale la risposta è stata unanime: l’utilizzo pieno e sovrano degli averi dello Stato libico sarà deciso in data ulteriore dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. A suivre