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Libia, Draghi porta la strategia italiana alla conferenza di Parigi

Di Emanuele Rossi e Massimiliano Boccolini

Draghi a Parigi per la Conferenza sulla Libia sottolinea la necessità di elevare la compattezza Ue sul dossier, spingendo per le elezioni e l’uscita delle forze straniere dal Paese. Conversazione di Decode39 con Giuseppe Dentice, Head del Mena Desk del CeSI e Arturo Varvelli, direttore dell’Ecfr di Roma

Il presidente del Consiglio Mario Draghi è a Parigi con un pensiero chiaro: l’Europa deve guidare la stabilizzazione della Libia, e l’Italia deve essere il motore di questa attività. Compartecipata con la Francia, con cui Roma condivide la capacità di influenza sul Nordafrica e nel Sahel, e la Germania, che si è dimostrata interessata a prendere parte ai dialoghi che riguardano la ricerca della stabilità non solo libica ma di tutto l’ampio quadrante del Mediterraneo allargato.

Questa conferenza era nata come iniziativa unilaterale dei francesi, “che tendono sempre a mettere il cappello sulla Libia, far sentire la comunità internazionale presente, ma ogni volta che mettono le mani rischiano l’effetto boomerang”, spiega a Decode39 Arturo Varvelli, direttore dell’Ecfr di Roma. “In Libia i francesi non sono ben accolti, anche se non se ne capacitano. L’Italia ha fatto buon viso a cattivo gioco e, anche sulla base della relazione positiva che esiste tra Draghi ed Emannuel Macron, ha sostanzialmente fatto valere la propria leadership sulla Libia, di fatto aprendo a una sorta di co-presidenza a Parigi, alla presenza dello stesso Draghi”, aggiunge.

La co-presidenza della Conferenza internazionale alla Maison de la Chimie è emblematica di un senso di condivisione delle responsabilità che con l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi è stato ricambiato anche da Parigi – nonostante in passato i francesi abbiano tenuto posizioni ambigue sul dossier. L’obiettivo spinto da Roma è quello di trasformare la consolidazione raggiunta con il cessate il fuoco in una stabilità più ampia e diffusa.

Secondo Giuseppe Dentice, Head del Mena Desk del CeSI, su quanto queste conferenze, Palermo prima e poi le due a Berlino, possano essere efficaci continuano a esserci dubbi. “Limiti e problemi – spiega Dentice a Decode39 – sono presentati dagli attori libici stessi, ma anche da una parte degli attori regionali che si muovono tra i vari fronti interni alla Libia, e dai player internazionali che si muovono con strategie ben precise volte a bloccare quelle delle controparti”.

Per Dentice, “allo stato attuale l’anarchia e la confusione sulla Libia è notevole, e pertanto è necessario certamente osservare ciò che accade, ma senza farsi troppe illusioni su ciò che potrebbe non accadere in termini di risultati”.

Il passaggio che il governo italiano trova fondamentale è il voto, che l’Onu ha impostato – con la risoluzione 2570, dell’aprile 2021 – per il 24 dicembre. Passaggio in cui l’attuale momento di calma delle armi, di negoziato e di complicato dialogo politico, dovrebbe implementarsi nell’elezione di un presidente e di parlamentari, dunque di un governo. Un esecutivo non veicolato dall’esterno, come l’attuale Governo di unità nazionale o il precedente Governo di accordo nazionale, ma deciso dai cittadini.

Su questo l’Italia, che nel corso degli anni difficili dei conflitti ha comunque mantenuto contatti con tutti i fronti in campo, ha chiare le problematiche e i rischi. Non votare è pericoloso, perché potrebbe riaccendere stagioni violente; votare potrebbe esserlo altrettanto perché potrebbe portarsi dietro le reazioni scomposte di chi non accetta i risultati: è questo il pensiero degli ambienti di governo di Roma.

“C’è scetticismo da parte anche italiana sulla capacità di queste elezioni di produrre risultati duraturi. In verità nell’ultimo anno qualche progresso si è visto: se è vero che siamo ben lontani da uno Stato di diritto, è vero anche che per la prima volta c’è stato a Tripoli un referente credibile, e sono mancati invece episodi di particolare violenza. Quanti alle elezioni, la maggior parte delle costituecies non le vuole: andare alle urne rischia di mettere a repentaglio questo fragile equilibrio e la spartizione di risorse che vi è sottesa”, aggiunge Varvelli.

Il momento è delicato, l’avvicinarsi della data elettorale (ancora non definitivamente confermata) sta allargando i fronti di divisione. Per questo la convocazione della Conferenza in sé viene vista dall’esecutivo italiano come un buon risultato – posizione che, per quanto noto, viene condivisa anche da Parigi e Berlino.

Il documento finale che uscirà da Parigi – secondo la bozza ottenuta da Decode39 – dà molta importanza all’assicurare lo svolgimento delle elezioni presidenziali e politiche in Libia, messe in pericolo dalla divergenza tra le parti in Libia. Per chi con la propria condotta ostacolerà il processo elettorale viene previsto il passaggio in giudizio davanti al Comitato per le sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. “Chi tenterà di ostacolare o manomettere le elezioni sarà ritenuto responsabile”, è scritto: un richiamo duro a minacciare azioni sanzionatori che sottolinea l’importanza data alle urne.

Per quanto riguarda le dinamiche del voto, la Conferenza avrebbe trovato una mediazione tra le pressioni di Francia ed Egitto, che chiedono date separate tra le presidenziali e le politiche, e chi come l’Italia vuole che il voto sia concomitante nel timore che qualche forza libica possa, tra un turno e l’altro, possa ostacolare il processo. Nel documento si parla della “necessità di annunciare contemporaneamente i risultati delle elezioni parlamentari e presidenziali”. Si sottolinea inoltre “l’impegno delle parti a tenere elezioni presidenziali e parlamentari eque”, sollecitando i vari partiti libici a rispettare il calendario – dunque la data, 24 dicembre.

Vengono inoltre esortati i leader libici “a garantire la rappresentanza delle donne nella nuova legislatura”, e viene incoraggiato “il prossimo parlamento a creare una Costituzione permanente e accettabile” e “la necessità di istituire l’Alto Commissariato per la Riconciliazione Nazionale”. Nel documento si sottolinea che “il successo della transizione politica” avverrà “attraverso elezioni, cessate il fuoco e ritiro dei mercenari”.

La cogestione europea voluta da Draghi ha anche un obiettivo di carattere più strategico: l’ottenimento dell’uscita dal teatro libico delle forze militari straniere. Un punto su cui il presidente italiano trova completo allineamento con la vicepresidente statunitense, Kamala Harris: per Washington come per Roma (e Bruxelles dunque) è cruciale che sia le unità turche schierate in Tripolitania, sia quelle del Wagner Group russo e gli altri concractor africani posizionati in Cirenaica, lascino il paese.

In questo sia l’Italia che gli Stati Uniti credono che un presidente e un esecutivo passati dalle urne possano avere più influenza, e soprattutto possano ricevere maggiore supporto politico-diplomatico da Roma e Washington. La linea italiana, ed europea, e quella americana sono completamente sovrapponibili: un punto di forza su cui magnetizzare i vari paesi regionali, direttamente coinvolti o preoccupati che certe presenze armate possano far scivolare nuovamente la Libia nella violenza in qualsiasi momento.

Nel documento finale si sottolinea “l’importanza di istituire una struttura militare e di sicurezza unificata, globale e responsabile”. La Conferenza di Parigi accoglie quindi “con favore iniziative per integrare membri di gruppi armati nelle istituzioni governative” e offre “sostegno ai lavori del Comitato Militare 5+5 per il ritiro di mercenari e delle forze straniere”, invitando tutte le parti interessate “ad avere un piano d’azione per il ritiro dei mercenari e delle forze straniere”.

Si tratta di un appello importante perché in queste ore i media libici riferiscono che il governo del premier, Abdelhamid al Dabaiba, non avrebbe risposto alla richiesta del comitato militare 5+5 di espellere un gruppo di mercenari siriani, mentre esponenti delle forze del cosiddetto “Vulcano di Rabbia” in Tripolitania avrebbero deciso di trattenere i mercenari fino a dopo le elezioni. Ieri invece il comando delle forze di Khalifa Haftar, in Cirenaica, ha deciso di allontanare 300 mercenari stranieri dalle aree sotto il proprio controllo: decisione presa senza porre condizioni o chiedere l’uscita simultanea di un analogo gruppo dalla Tripolitania, nonostante fosse stato concordato dai membri del Comitato militare 5+5 – non è stato chiarito di quali Paesi si tratti ma è probabile che appartengano ai vicini africani della Libia (Ciad, Niger e Sudan).

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