Negli anni 70, l’Italia prese a costruirsi un ruolo originale, con un profilo deciso. Quello di un Paese saldamente inserito nel patto Atlantico, capace di cercare il dialogo in Europa, nel Mediterraneo, con il mondo arabo. I due protagonisti che, anche tragicamente, incarnarono il senso più profondo di quel momento storico furono Aldo Moro ed Enrico Berlinguer
Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Formiche di novembre 2021
Che anni gli anni 70. Stretti tra due decenni; i Sessanta, quelli del boom economico e del ’68, e gli Ottanta, quelli del crollo del Muro di Berlino. A prima vista appaiono come anni di transizione, ma a una più approfondita analisi rivelano i segni della lunga incubazione dei processi politici che si sono manifestati compiutamente solo nei decenni successivi. Non c’è un unico evento simbolico che consenta di comprendere immediatamente tali sviluppi, ma esiste una sequenza di fatti, capaci di segnare la storia alternando innovazione e speranza, conservazione e delusione.
Il mondo era saldamente diviso in due blocchi e nulla lasciava presagire che quella storia, incominciata a Yalta, potesse un giorno finire. Erano gli anni dei primi tentativi di dialogo tra Usa e Urss, aperti dall’amministrazione Nixon, con il contributo straordinario forse, del più grande segretario di Stato americano di sempre: Henry Kissinger. Artefice della cosiddetta “diplomazia triangolare”, del summit di Mosca del 1972, della firma del trattato Abm (Salt1) per la non proliferazione missilistica e della prima storica visita di un presidente americano nella Pechino comunista, evento che fu a lungo preparato da Kissinger stesso attraverso una serie di incontri segreti, e che, di fatto, coincideva con la rinuncia al principio delle “due Cine”.
Dello stesso periodo poi anche la fine della guerra in Vietnam con le drammatiche immagini del collasso di Saigon, ritornate alla memoria proprio nelle scorse settimane. Poi, nel 1979, l’Unione Sovietica diede il via all’invasione dell’Afghanistan. Da lì il grande gelo tra Stati Uniti e Urss che uccise tutti i germogli del dialogo tentato agli inizi di quel decennio. Proprio a testimoniare come la trama della storia sia un insieme di rotture e continuità, senza che si smarrisca, tuttavia, il senso di una fitta rete che lega fatti e tempi storici.
Nel 1973 la guerra dello Yom Kippur e il conseguente, drammatico, shock petrolifero mettevano nuovamente al centro quello che, oggi, chiameremmo il Mediterraneo allargato. Il Medio Oriente, Israele e il mondo arabo, l’Africa dei movimenti di liberazione. Poi più tardi il gigante persiano, l’Iran della rivoluzione di Khomeini.
L’Italia si trovò, plasticamente, al centro di un mondo in subbuglio, con un’Europa giovane che iniziava a muovere i primi passi. In questo contesto il Paese prese a costruirsi un ruolo originale, con un profilo deciso. Quello di un’Italia saldamente inserita nel patto Atlantico, con una collocazione geopolitica cruciale e capace di cercare il dialogo in Europa, nel Mediterraneo, con il mondo arabo. Un piccolo miracolo, a dispetto dei dodici governi italiani nel primo decennio (con la dominanza Rumor-Andreotti) contro le tre amministrazioni Usa (Nixon, Ford, Carter) e un solo segretario in seno al Pcus, Leonard Brežnev.
I protagonisti di quel “miracolo italiano” furono tanti, a partire da Giulio Andreotti, ma furono solo due quelli che, anche tragicamente, incarnarono il senso più profondo di quel momento storico di passaggio: Aldo Moro ed Enrico Berlinguer.
Moro, per un periodo insolitamente lungo (dal 1969 al 1976) incarnò la politica estera italiana come ministro degli Esteri prima e come presidente del Consiglio dopo. Da presidente del Consiglio delle Comunità europee, il primo nucleo della futura integrazione europea, riuscì a prospettare la possibilità di avviare una Conferenza per la sicurezza e per la cooperazione nell’area del Mediterraneo, con l’obiettivo esplicito di stemperare le tensioni prodotte dalla Guerra fredda. Erano anche gli anni della Ostpolitik di Willy Brandt. Fu un percorso di successo che portò il primo agosto del 1975 agli accordi di Helsinki. Una pietra miliare per la storia dell’Europa.
A Enrico Berlinguer si deve il forte tentativo di collocazione del Partito comunista italiano, che nel 1976 aveva raggiunto il suo picco di consensi in sede elettorale, all’interno della cornice europea e atlantica. Dal compromesso storico all’eurocomunismo, fino ad arrivare alla famosa intervista rilasciata a Giampaolo Pansa sul cosiddetto “ombrello protettivo della Nato”.
La rottura tra Usa e Urss nel 1979 in Italia fu di poco preceduta dal rapimento e dalla barbara uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse. Berlinguer morì solo qualche anno dopo, nel 1984, alla fine della campagna elettorale. Due vite spentesi prematuramente. Troppo prematuramente. Ma quell’ispirazione di fondo riguardo alla collocazione internazionale dell’Italia e alla politica estera del Paese ha fatto radici e vive ancora adesso.