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Trattati bilaterali per rilanciare l’Ue? Solo ad una condizione. Nones (Iai) spiega quale

Intervista a Michele Nones, vice presidente dello Iai, sulla cooperazione tra Italia e Francia, sulle novità che riguardano la Difesa e sull’effetto che il nuovo trattato avrà nelle dinamiche europee. Il prossimo passo? Un accordo simile con la Germania

 

Il Trattato del Quirinale rilancia la cooperazione tra Italia e Francia, e ciò non può che essere positivo. Perché abbia l’effetto sperato sull’integrazione europea dovrà essere seguito da altre iniziative simili, a partire da una maggiore strutturazione dei rapporti del nostro Paese con Germania e Spagna. Anche perché, per ora, il passo in avanti sul fronte della Difesa comune è minimo. Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), riassume così a Formiche.net il contenuto del Trattato di cooperazione bilaterale rafforzata firmato da Emmanuel Macron e Mario Draghi.

Quale è il suo commento sul trattato?

Dal punto di vista dei rapporti bilaterali italo-francesi, il trattato è un importante passo in avanti che, da un lato, chiude le recenti passate incomprensioni e criticità, dall’altro, mette sulla giusta strada la futura collaborazione tra i due Paesi. L’importanza è soprattutto politica, un impegno a sviluppare una più stretta cooperazione e a rendere più strutturato il rapporto bilaterale.

Quindi una valutazione positiva…

A livello generale direi di sì, anche perché conferma che l’Italia è ritenuta in Europa un partner affidabile, con il quale è possibile impostare un dialogo strategico volto a trovare punti di convergenza, sia per quanto riguarda l’azione comune all’interno dell’Ue, sia per ciò che concerne le possibili iniziative a livello internazionale.

C’è un “ma”?

Il fatto che ci siamo potuti arrivare solo a valle di un paio di anni particolarmente turbolenti, e con una presidenza francese al termine del suo mandato, lascia in qualche modo aperto il tema di come questo trattato potrà essere gestito a partire dal prossimo anno.

Tra l’altro, non rischia di essere un controsenso l’idea di un trattato bilaterale per rilanciare la prospettiva comunitaria dell’Ue?

Non credo. Sebbene non esplicitamente previsto dal trattato, la rafforzata collaborazione tra Italia e Francia sottende l’idea che l’integrazione europea non possa che marciare sulle spalle dei principali Paesi che hanno volontà e capacità. Da questo punto di vista si può immaginare che ci sia un rafforzamento di alcuni tasselli della costruzione europea per stabilizzare l’assetto complessivo.

E i tasselli sono gli accordi bilaterali?

Sì. C’è già un tassello fortissimo, quello franco-tedesco. Ora il trattato tra Italia e Francia ne aggiunge un altro, che non ha la stessa forza e lo stesso impatto, ma che è comunque significativo. In tal senso, sarebbe sicuramente positivo per l’Italia, e per l’Europa, che si arrivasse a un rafforzamento altrettanto strutturato della collaborazione italo-tedesca, e potenzialmente anche a qualche forma di collaborazione strutturata tra Italia e Spagna, Paese col quale condividiamo la grande attenzione per l’area del Mediterraneo allargato e il confine meridionale dell’Unione europea.

Quando Macron e Merkel firmarono il trattato di Aquisgrana dall’Italia si alzarono molte voci di critica. Ora invece sembra di no. Perché?

Anche allora c’era l’idea che le prospettive dell’Unione europea potevano essere sviluppate attraverso un accordo tra i principali Paesi, volenterosi e capaci di portare avanti il processo di integrazione. Se però sono solo in due a farlo, ciò non può essere gradito ad altri Paesi interessati, volenterosi e capaci, ma esclusi. Dato che non era ipotizzabile un allargamento del trattato di Aquisgrana ad altri Stati, era evidente l’esigenza di contornarlo con un’altra serie di trattati bilaterali che creassero un network di Paesi “willing and able”. Se l’Italia andrà avanti anche con Germania e Spagna, contribuirà a creare un gruppo di Paesi di punta che porteranno avanti l’integrazione senza doversi fermare in attesa che tutti gli altri siano pronti. Ciò che conta, alla fine, nei processi di integrazione politico-economica, non è tanto la forma che vanno ad assumere, ma la sostanza. Se questa è la strada su cui andare avanti per un’Europa più forte e integrata, allora va bene, anche se è meno lineare.

Arriviamo alle sezioni che compongono il Trattato del Quirinale…

Ci sono sicuramente alcune parti con un impatto operativo diretto, prevedendo e definendo i caratteri di un confronto bilaterale strutturato. Questo è vero per ciò che riguarda gli Affari esteri, gli Affari europei, la cooperazione economico-industriale e digitale.

E la Difesa?

Sul tema della sicurezza e difesa, nonché dello Spazio, emergono disponibilità e volontà a cooperare più strettamente, ma non si traducono immediatamente in una previsione operativa. Tant’è vero che viene indicato solo il Consiglio italo-francese di difesa e sicurezza, che prevede la presenza dei ministri di Esteri e Difesa. Ciò fa emergere, di fatto, che il tema principale del confronto sarà sulla politica estera e di sicurezza. Non è invece espressamente previsto uno strumento di cooperazione a livello delle Forze armate, degli Stati maggiori o delle Direzioni nazionali degli armamenti.

Nessun passo avanti quindi?

Di positivo c’è sicuramente l’impegno dei due Paesi a sviluppare un più stretto confronto tra di loro sulle scelte che via via dovranno essere prese. Nello stesso tempo, però, il fatto che non si sia indicato né lo strumento del confronto, né scadenze di carattere temporale (che per altre parti del trattato sono previste), indica che dovremo lavorare ancora molto per concretizzare questa volontà politica.

Ciò avrà effetto sui diversi dossier industriali aperti nel campo della Difesa tra Italia e Francia?

Personalmente, ho l’impressione che il motore industriale che spingeva verso un accordo politico di questo tipo si sia via via affievolito. Pur nel superamento delle difficoltà degli anni precedenti, nell’ultimo anno e mezzo non ci sono stati particolari passi in avanti. Nel settore navale le rotte sono sembrate spesso divergenti. Nel settore aeronautico ha prevalso la partecipazione a due progetti alternativi per i velivoli di sesta generazione, mentre sul terrestre non c’è ancora alcuna apertura governativa alla partecipazione italiana al progetto per il nuovo carro armato europeo.

E sullo Spazio?

Sullo Spazio è un po’ diverso. Le parole inserite nel trattato sono di buon auspicio per il futuro dello spazio europeo. Se i principali Paesi concordano su una visione congiunta dei lanciatori, della base di lancio e dei sistemi orbitali, allora ci sono le premesse per un forte rilancio delle capacità spaziali europee. L’articolo 7 del trattato dà dignità al settore spaziale, separato dagli altri, a conferma dell’importanza che entrambi i Paesi vi attribuiscono e che attribuiscono ad una cooperazione bilaterale strutturata.


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