“Un evento generativo di detriti” ha diffuso “grande preoccupazione” allo US Space Command, che si è attivato per cercare di evidenziare quali assetti orbitanti potrebbero essere colpiti. Dal dipartimento di Stato la condanna sul nuovo test missilistico anti-satellite condotto dalla Russia. E sulla stazione spaziale internazionale è scattata la procedura di “safe haven”
Paura in orbita. “Un evento generativo di debris” è stato segnalato dallo US Space Command, che ha dichiarato di stare “lavorando attivamente per caratterizzare il campo di detriti e garantire che tutte le nazioni che viaggiano nello spazio dispongano delle informazioni necessarie per manovrare i satelliti in caso di impatto”.
Dopo le indiscrezioni, in serata la conferma sulle responsabilità, nelle parole del portavoce del dipartimento di Stato Ned Price: “Il test spericolato della Federazione Russa di un missile anti-satellite ad ascesa diretta ha creato oltre 1.500 pezzi di detriti orbitali tracciabili e centinaia di migliaia di pezzi di detriti orbitali più piccoli che ora minacciano gli interessi di tutte le nazioni”.
Diverse ore prima delle indiscrezioni e della nota dello US Command, a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss), a 400 chilometri dalla superficie terrestre, erano scattate le misure di emergenza, con i sette astronauti (al comando del russo Anton Shkaplerov) costretti a spostarsi a bordo della capsule Soyuz e Dragon, procedura definita “safe haven”. Alcune fonti di informazione avevano inizialmente giustificato tale procedura con il pericolo di collisione tra l’avamposto orbitante e i detriti del satellite cinese Fengyun-1C, colpito da un test missilistico condotto da Pechino nel 2007 e rimasto da allora senza controllo. D’altra parte, per la stessa ragione, venerdì la stazione aveva modificato la sua orbita di circa un chilometro. Ora però le notizie giunte dallo US Space Command e dal dipartimento di Stato sembrano indicare una ragione differente per il recente “safe haven”. Nel frattempo sulla Iss sarebbe tornata la calma. Lo stesso comandante Shkaplerov ha twittato: “Tutto regolare, continuiamo a lavorare come da programma”.
Da diversi anni, Stati Uniti, Russia e Cina hanno capacità anti-satellite (Asat) cinetiche. Per gli americani, il primo test sarebbe da rintracciare nel 1985 tramite un missile aviolanciato (l’Asm-135). Per i russi, gli studi su tali capacità (come modifica di missili balistici) sarebbero iniziati negli stessi anni. L’avvio del programma attuale Nudol (PL-19 per la nomenclatura Usa) è invece da rintracciare, secondo un report di Jane’s, nel 2011. Dal 2014, i test del missile sarebbero stati oltre decina, compreso quello denunciato ad aprile dello scorso anno da John Jay Raymond, allora comandante dello Us Space Commmand, poi sostituito da James H. Dickinson. La Cina è arrivata dopo, con un primo test nel 2007 che comportò l’abbattimento di un satellite non più attivo e non pochi problemi in termini di debris. A marzo del 2019 si è aggiunta l’India, dichiarando il successo del test di un nuovo sistema balistico che sarebbe riuscito ad abbattere un satellite in orbita bassa.
Tutto ciò preoccupa non poco sul fronte del cosiddetto “space debris”, la spazzatura spaziale. Con orbite sempre più popolate e sempre più essenziali per la vita sulla Terra (viste le infrastrutture che garantiscono molteplici servizi), il rischio di impatti genera timori consistenti. È per questo che il tema della sostenibilità delle orbite è stato trattato in molti vertici internazionali, dal summit della Nato al G7, fino al più recente evento organizzato dall’Italia nell’ambito della presidenza del G20.
Secondo i numeri dell’Esa, i satelliti attualmente operativi intorno al nostro Pianeta sono circa 4.300. Il numero di oggetti che rappresentano “debris”, da un millimetro fino a oltre dieci centimetri, si stima possa aggirarsi intorno ai 130 milioni, a fronte degli 28.600 “debris” che si riescono a tracciare. Il numero è destinato a crescere, considerando i grandi programmi per nuove costellazioni (a partire dalla Starlink di Elon Musk) e le innovative esigenze di controllo e monitoraggio dallo Spazio. Il riferimento attuale sull’uso delle orbite è il Trattato sullo spazio extra-atmosferico, risalente al 1967, evidentemente datato rispetto agli scenari attuali. Si discute per questo di un nuovo Space law.