Pubblicata la bozza di rapporto della Commissione sulle ingerenze straniere. Nel mirino la Russia ma anche la Cina. Pressing sull’esecutivo: attenzione a università e infrastrutture critiche. Ma serve una spinta, che arriva dall’Aula ma viene spesso frenata dai governi
Con un rapporto della Commissione speciale sulle ingerenze straniere in tutti i processi democratici nell’Unione europea, inclusa la disinformazione (Inge), il Parlamento europeo si conferma l’istituzione comunitaria capace quanto desiderosa di tenere la postura più dura verso la Repubblica popolare cinese, il Partito comunista e il presidente Xi Jinping. Più di quella della Commissione europea e più di quella degli Stati membri, che hanno a che fare forse di meno con gli attivisti, forse di più con il difficile bilanciamento tra diritti e logiche mercantilistiche.
L’eurodeputata lettone Sandra Kalniete, esponente del Partito popolare europeo, già per qualche mese commissaria nella Commissione guidata da Romano Prodi dopo essere stata ministro degli Esteri del suo Paese, ha consegnato la bozza di rapporto dopo un anno di lavoro della commissione presieduta dal socialista francese Raphaël Glucksmann. Trentatré pagine in cui riflettori puntati su diverse aree, dai alle infrastrutture critiche fino al ruolo della diaspora nelle interferenze straniere.
Nel mirino del rapporto, che verrà votato dall’Inge a gennaio per arrivare in plenaria a marzo, ci sono soprattutto la Russia, su cui lei, nata in Siberia con genitori deportati dall’Unione Sovietica, ha una posizione netta e chiara. Ma anche la Cina.
Quattro esempi. Primo: il rapporto condanna duramente il governo ungherese che mentre decide di aprire una filiale della Fudan University cinese a Budapest costringe la Central European University di George Soros a chiudere nella stessa capitale. Nel rapporto si esprime preoccupazione per la “crescente dipendenza finanziaria delle università europee dalla Cina” e si chiede alla Commissione e ai Paesi membri dell’Unione di garantire un adeguato finanziamento e la trasparenza dei finanziamenti. Secondo: la relazione invita ad accendere un faro sugli Istituti Confucio, 200 in Europa, usati dal governo cinese “come uno strumento di influenza” nell’Unione europea. Terzo: la macchina diplomatica europea deve “urgentemente” adeguarsi, inserendo tra le competenze anche il mandarino. Quarto: per quanto riguarda le infrastrutture critiche, la relazione invita l’Unione europea e gli Stati membri a “fornire alternative di finanziamento per evitare che grandi parti delle loro infrastrutture critiche entrino in possesso di Paesi terzi”, compreso il 5G.
Non viene direttamente citata la Via della Seta (a cui l’Italia ha aderito nel marzo 2019, sotto il governo gialloverde presieduto da Giuseppe Conte, con un memorandum d’intesa). Figurano, però, il caso del porto del Pireo in Grecia e gli investimenti cinesi nei cavi sottomarini nel Baltico, nel Mediterraneo e nell’Artico. Tra le infrastrutture critiche, si legge nel rapporto, dovrebbero rientrare anche i media: questione che tocca da vicino anche l’Italia, come racconta un recente report dell’Istituto affari internazionali sulle decine di collaborazioni di “natura controversa” fra giornali italiani e organi del governo cinese.
Russia, Cina e altri regimi autoritari hanno investito “più di 300 milioni di dollari (259 milioni di euro, ndr) in 33 Paesi per interferire nei processi democratici e questa tendenza sta chiaramente accelerando”, si legge.
Come difendersi? “Nessuna misura legislativa può essere adottata abbastanza rapidamente per rispondere a tutti gli sviluppi tecnologici in tempo reale, è come cercare di usare una macchina da corsa per raggiungere un’astronave”, ha spiegato la relatrice. “L’Europa deve essere più ambiziosa, piuttosto che reagire in maniera limitata alle minacce degli attori ostili Pechino e Mosca”, ha aggiunto. E ancora. “L’Unione europea non dovrebbe evitare di parlare la lingua del potere”. Diverse proposte sono pensate, dunque, per agire d’anticipo. Come quella di istituire un meccanismo per monitorare le lacune nelle leggi europee che potrebbero essere sfruttate da potenze straniere. E come l’invito alla Commissione europea a includere una valutazione della manipolazione delle informazioni e delle interferenze straniere prima di presentare nuove proposte.
Alcuni membri della Commissione sono recentemente stati in visita a Taiwan (irritando non poco Pechino). Tra loro anche un italiano, il leghista Marco Dreosto, che a Formiche.net ha dichiarato: “La Cina nel recente passato ha avuto un comportamento opaco e scorretto con l’Occidente. Calpestare i diritti umani a Hong Kong, la persecuzione degli uiguri nello Xinjiang e i ritardi nell’allarmare il mondo intero allo scoppio della pandemia Covid-19 sono azioni che non possono passare inosservate”.
E membro della stessa Commissione è Bart Groothuis, europarlamentare olandese membro del gruppo macroniano Renew Europe e relatore della proposta di revisione della direttiva europea Nis sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi. A Formiche.net ha sottolineato il timore di “operazioni russe contro i cavi sottomarini in fibra ottica” (nella “guerra dei fondali” può contare sull’unità Gugi). Ma nella sua relazione c’è anche ampio spazio alla sicurezza del 5G e ai cosiddetti “fornitori ad alto rischio”, che è la formula usata dall’Unione europea per identificare le aziende cinesi Huawei e Zte.
Senza dimenticare che molti dei membri di questo comitato, come il verde tedesco Reinhard Bütikofer, sono tra i principali critici dell’accordo sugli investimenti tra Cina e Unione europea che la Commissione, dopo il pressing del Parlamento, ha deciso di congelare.