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Ora un patto per Libia e Sahel. Gli scenari di Sanguini

Di Armando Sanguini

Il Trattato del Quirinale tra Francia e Italia può e deve esplicitare i suoi effetti anche sulla fruibilità dell’intero mar Mediterraneo, dalla Libia al Sahel fino alle tensioni israelo-palestinesi. L’analisi dell’ambasciatore Armando Sanguini, Senior Advisor Ispi

Il “Trattato del Quirinale” del 22 gennaio del 1963 tra Francia e Germania ha ben poco a che vedere con il “Trattato del Quirinale” tra Francia e Italia del 26 novembre 2021. Altri tempi, altro tipo di relazioni; situazioni in buona sostanza incomparabili. Perché allora questo richiamo alla sede presidenziale dei due Paesi?

Voglio sfuggire alla tentazione di una qualche pretenziosità diplomatico-estetica e pensare piuttosto al richiamo a un’esperienza vincente, quella franco-tedesca per l’appunto, auspicabilmente nell’aspirazione di riuscire a fare lo stesso e forse di più e di meglio con il nuovo vincolo sancito tra Francia e Italia, facendo di questa bilateralità rafforzata un volano proiettato a livello europeo, transatlantico e globale e mettendo definitivamente in soffitta trascorsi anche recenti di incomprensioni, dispetti, divergenze e rigidità che hanno attraversato le relazioni anche recenti col cugino transalpino.

Che questo sia l’orizzonte traguardato appare piuttosto chiaro dalla lettura del testo che spazia dalla difesa alla sicurezza, dall’economia all’industria dallo spazio alla transizione ecologica e digitale, dalla cultura ai giovani. E non è casuale la scelta della data della firma nel momento di transizione tra la uscente e l’entrante leadership tedesca che lungi dall’essere “sospetto” come ha sostento qualche commentatore tedesco è stata considerata come la più propizia per l’inaugurazione del Trattato italo-francese proprio in concomitanza del benaugurante avvio del nuovo governo tedesco: nel nome della sovranità europea come ha ripetuto il nostro presidente del Consiglio.

Penso che questo Trattato debba essere accolto con favore e debba essere sostenuto nella sua progressiva implementazione, giorno per giorno, anche perché l’attuale congiuntura geopolitica richiede un sollecito rodaggio di questo potenziale nuovo motore europeo in congiunzione con la Germania e magari allargato alla Spagna.

Si tratta di una congiuntura che certo deve essere ossigenata dalla crescita di una reale Unione sia in chiave di politica interna che in termini di difesa, in un’ottica di complementarietà con la Nato; dalla capacità di superare il spada di Damocle di una unanimità paralizzante; da una politica estera che sappia fare il tagliando della sua autonomia nelle relazioni con la Russia e con la Cina pur nell’evidente rispetto del vincolo transatlantico; da una politica migratoria che non sia ricattabile e sia all’altezza dei valori che continua a reclamare prima ancora che della sua forza economica, facendo dimenticare le criticità del Canale della Manica come quelle della frontiera bielorussa-polacca nonché dello stesso mare Mediterraneo che merita ben altro profilo di attenzione, di tutela e di responsabilità pro-attiva di quello attuale , anche in considerazione dei rischi rappresentati dal groviglio di ambizioni ed interessi regionali e internazionali che vi si stanno esercitando con pericolosa disinvoltura.

Basti pensare alla Libia che l’inerzia se non proprio il rifiuto opposto nel 2019 dall’Unione Europea alla richiesta di aiuto del governo di Tripoli (quello riconosciuto internazionalmente per intenderci) per difendersi dall’attacco delle milizie di Haftar, lo ha ingarbugliato sensibilmente, questo groviglio, legittimando l’intervento politico-militare della Turchia di fronte una Russia schierata a sostegno di Haftar dietro lo schermo della milizia mercenaria Wagner assieme all’Egitto, agli Emirati e di fatto, all’ambigua Francia pur formalmente dalla parte di Tripoli.

Ebbene, la Libia è il più immediato banco di prova del Trattato del Quirinale. Da sempre terreno di competizione spesso scorretta tra i due paesi questo paese si trova infatti, al momento, dopo una lunga e travagliata gestazione sul filo del rasoio di un’elezione presidenziale (24 dicembre) suscettibile di due risultati di segno opposto a seconda del candidato eletto: la ri-caduta del paese nel caos di una rinnovata conflittualità interna ovvero l’apertura della prospettiva di un percorso di stabilizzazione.

Sempre che si arrivi a quell’appuntamento elettorale, ciò che non è affatto scontato; e ciò vuoi per le possibili ripercussioni derivante da qualche esclusione come avvenuto per la candidatura Saif Al-Islam, figlio di Gheddafi da parte dell’Alta Commissione elettorale libica (Hnec) per crimini commessi nel 2011. Vuoi per la vittoria di un candidato particolarmente divisivo. E ve ne sono sui quasi 75 candidati ancora in corsa.

Le Cassandre sul suo esito abbondano come sempre avviene quando si è alla vigilia di una prova nevralgica come quella attuale e non è detto che non ci azzecchino. Ma ferma restando la primaria responsabilità dei libici, tutt’altro che univocamente diretta, molto dipenderà anche dai seguiti politico-diplomatici della Conferenza di Parigi del 12 novembre dove Italia e Francia hanno finalmente lavorato a braccetto per sponsorizzare la tenuta di quest’appuntamento elettorale e dal lavoro di sponda che riusciranno (vorranno) svolgere sugli altri attori esterni (dalla Turchia alla Russia, dagli Emirati all’Egitto etc.).

Pensare alla Libia significa anche guardare al Sahel, quella lunga striscia tra l’Atlantico e il Mar Rosso che salda di fatto il Nord al Sud dell’Africa, una cintura semidesertica infestata da trafficanti di persone, di armi di droga, in cui trovano riparo diverse formazioni dell’estremismo islamista (da AQMI a Boko Haram) ed è piagata da povertà e conflittualità intra-tribale.

Una cintura minacciosa che non sta solo impattando sulla stabilità dei paesi  che lo compongono in toto o in parte (Algeria, Burkina Faso, Chad, Mali, Niger, Mauritania, GambiaSenegal, Nigeria Camerun Sudan nord e sud ed Eritrea) ma rappresenta un serio rischio anche per l’Europa. Cinque di questi paesi hanno costituito nel 2014 il cosiddetto del G5 Sahel, a ridosso del Nord Africa centro-occidentale per affrontare più efficacemente proprio quelle sfide.

Ispirato dalla Francia, quest’assetto non ha dato risultati brillanti, ma col tempo è riuscito a coagulare attorno a sé il sostegno di diversi Player internazionali, dal bilaterale francese (Barkhane) al multilaterale Minusma, all’EUTM dell’Unione Europea di cui Emanuela Del Re è dal giugno il Rappresentante speciale. A questa si è aggiunta, nel marzo, la missione militare Takuba con l’obiettivo, perseguito da ben 12 paesi europei, Italia compresa, di regolare i flussi migratori, controllare i traffici illeciti e contrastare il jihadismo.

Obiettivo molto ambizioso, vede l’Italia partecipare assieme a Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Germania, Olanda, Norvegia, Portogallo, Svezia, Regno Unito e Grecia a sostegno del G5 Sahel. Insomma, una somma di missioni che forse richiederebbero uno sforzo di coordinamento e una strategia riorganizzativa. E lo spazio ci sarebbe, tanto più che Parigi ha dichiarato l’intenzione di chiudere nel 2022 la missione Barkhane, mal recepita sia in Francia che nel Sahel.

La nuova partnership italo-francese offre un’opportunità da non trascurare visto che il Sahel rappresenta ormai l’anticamera della sicurezza migratoria, anti-terroristica e in parte energetica dell’Europa.

Inoltre, questo Trattato può e deve esplicitare i suoi effetti anche sulla fruibilità dell’intero mar Mediterraneo – che non può imporre servitù di passaggio e/o di esplorazione come vorrebbe la Turchia – e dare ulteriore  spinta al programma dell’East Mediterranean Gas Forum (EMGF) che tra l’altro ha accolto l’Unione europea quale osservatore permanente in virtù – così recita la nota del Forum – del suo continuo impegno nella promozione della stabilità e prosperità nella regione, attraverso una positiva e inclusiva cooperazione. E auguriamoci che questo Trattato del Quirinale si di buon augurio anche rispetto alle altre sensibili criticità – dalla tensione conflittuale Israelo-Palestinese, al disastro libanese, alla martoriata Siria, etc.. che gravano su questo “nostro” mare.

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