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Proteste no-vax, perché è importante la direttiva del ministero dell’Interno

Nonostante provengano, letteralmente, da un’altra era, le norme su ordine e sicurezza pubblica sono strumenti efficaci per la gestione di ogni aspetto della pandemia. Fino ad ora sono state ampiamente sottoutilizzate, ma ci sono segnali che lasciano intendere come la situazione stia cambiando. L’intervento di Andrea Monti, professore incaricato di digital law nel corso di laurea in digital marketing, già professore incaricato di diritto dell’ordine e sicurezza pubblica dell’Università di Chieti-Pescara

Negli ultimi anni, salvo disdicevoli eccezioni, il ministero dell’Interno ha gestito con flessibilità i grandi assembramenti più o meno autorizzati. Tuttavia, la frequenza e l’intensità delle recenti manifestazioni di protesta contro le politiche vaccinali del governo hanno superato i livelli (tradizionalmente molto alti) di tolleranza dell’apparato per la tutela di ordine e sicurezza pubblica.

La necessità di contrastare questi eventi in modo coerente per evitare che le singole autorità locali di pubblica sicurezza procedessero in autonomia e —astrattamente — con scelte contraddittorie, ha portato all’emanazione della direttiva 10 novembre 2021 del ministro dell’Interno, necessaria a “dettare apposite indicazioni affinché lo svolgimento delle manifestazioni in questione avvenga nell’equilibrato contemperamento dei vari diritti e interessi in gioco”.

COSA PREVEDE LA DIRETTIVA

I cardini del provvedimento ministeriale sono quattro. Il primo è la “riscoperta” del potere attribuito ai prefetti dalla L. 35/2020 di “assicurare l’esecuzione delle misure di contenimento del rischio di diffusione del Covid-19 fino al perdurare dello stato di emergenza”. Il secondo è la riscoperta del tradizionale ruolo dei Comitati provinciali per l’ordine e sicurezza pubblica come “luoghi” dove determinare le strategie locali non solo per gli aspetti relativi alle manifestazioni, ma anche, più in generale, a quelli connessi agli ambiti sanitari. Il terzo è il dovere dei questori di esercitare i poteri loro attribuiti dal Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza in qualità di autorità “tecnica” (essendo il prefetto quella politica), avvalendosi anche della polizia locale. Il quarto è la necessità che i sindaci, nella loro veste di autorità sanitaria locale, tengano presente le valutazioni del Comitato provinciale per l’ordine e sicurezza pubblica ai fini dell’emanazione dei provvedimenti di propria competenza.

PERCHÉ QUESTA DIRETTIVA È IMPORTANTE

Apparentemente, la direttiva del ministro dell’Interno è più ricognitiva che prescrittiva. In altri termini, sembra semplicemente limitarsi a ricordare quali sono i compiti e i doveri di ciascun componente del sistema sicurezza.
In realtà, tuttavia, una lettura più attenta del provvedimento ne evidenzia una ulteriore valenza in termini di public policy.

In primo luogo, e in termini generali, viene riaffermata la esclusiva “giurisdizione” del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza anche sulle questioni relative alla gestione della pandemia. Questo significa, in termini meno burocratici, rimettere ordine nell’esercizio dei poteri di pubblica sicurezza e richiamare i sindaci al loro ruolo di autorità sanitaria locale. Cioè, ancora, il provvedimento ristabilisce (discretamente, ma in modo esplicito) la gerarchia dei poteri e dei ruoli fra Stato centrale ed enti locali messa di fatto in discussione durante la prima fase della pandemia.

Proprio il ristabilimento della gerarchia delle funzioni è quello che potrebbe creare i problemi operativi più consistenti. Basta pensare al trasferimento funzionale del comando di quella parte di polizia municipale destinataria del decreto prefettizio che attribuisce lo status di agente di pubblica sicurezza. Gli operanti dotati della qualifica sarebbero nella disponibilità del questore e non del sindaco che, dunque, si troverebbe a poter contare su una forza ridotta per lo svolgimento dei compiti ordinari di polizia amministrativa. Inoltre, non andrebbe sottovalutata la oggettiva diversa qualità addestrativa per gli interventi di ordine pubblico della polizia locale che spesso, pistola a parte, non ha né le dotazioni né una formazione adeguata per intervenire in caso di necessità.

Un altro elemento di grande importanza che caratterizza la direttiva ministeriale e sul quale occorrerà riflettere con maggiore attenzione in futuro è il fatto che i principi enunciati “per la loro valenza generale, potranno trovare applicazione per manifestazioni pubbliche attinenti ad ogni altra tematica”.

È vero che il ministero ben evidenzia e premette l’importanza di esercitare i poteri di pubblica sicurezza nel rispetto dei principi costituzionali che proteggono il diritto di manifestare. Tuttavia, ed è questo l’aspetto che suggerisce una ulteriore riflessione, le scelte adottate nell’ambito dell’emergenza sanitaria non dovrebbero diventare uno standard anche per manifestazioni di altro tipo — come quelle sindacali o di protesta civile per, poniamo, il climate change o i diritti delle minoranze. La differenza sostanziale fra le decisioni di ordine e sicurezza pubblica assunte nell’ambito delle necessità di contenimento del contagio hanno, infatti, una logica peculiare che non può essere estesa a manifestazioni pur astrattamente pericolose ma “soltanto” per via di comportamenti umani. Andrebbero quindi evitati, per esempio, automatismi nel divieto di manifestare in determinati luoghi o nell’esercitare il potere di dispersione attribuito agli ufficiali di pubblica sicurezza. Proprio in virtù del principio di graduazione delle misure di tutela dell’ordine pubblico, quello che vale per limitare le conseguenze sanitarie della prossimità fra individui non dovrebbe essere applicabile quando queste conseguenze non si possono verificare.

CONCLUSIONI

Il ministero dell’interno ha ristabilito la gerarchia nella gestione di ordine e sicurezza pubblica nell’emergenza sanitaria, richiamando discretamente all’ordine sindaci e amministratori locali al rispetto delle specifiche prerogative e ricordando il ruolo primario del prefetto, del questore e del Comitato provinciale per l’ordine e sicurezza pubblica. Sperabilmente, questa presa di posizione eviterà il ripetersi della proliferazione di ordinanze emanate dagli enti locali sulla base di discutibili presupposti giuridici.

Avere ribadito che possono essere impiegati anche gli appartenenti alla polizia locale (se dotati della qualifica di agente di pubblica sicurezza) e che, di conseguenza, in questi ambiti, costoro dipenderanno dal questore e non più dal sindaco può rappresentare una criticità per lo svolgimento delle altre funzioni di polizia amministrativa.
L’estensione dei principi contenuti nella direttiva ministeriale anche a manifestazioni di altro tipo — e dunque non caratterizzate da profili di rischio sanitario — suscita qualche perplessità per il rischio di estendere misure necessarie nel caso specifico ma difficilmente giustificabili in ambiti dove il rischio in questione non rileva.


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