Forse è davvero ora di riparlare di presidenzialismo perché l’Italia ha bisogno di decisioni, di tempi di reazione adeguati alla situazione internazionale ed europea con persone che abbiano il coraggio di prendere decisioni senza rimanere impigliate nell’eterno scontro tra partiti, correnti, gruppi e sottogruppi e la necessità di centellinare nomine e responsabilità, insomma di accontentare sempre tutti
Puntuale come l’arrivo dell’inverno, da settimane (o già sono passati mesi?) si intrecciano pronostici e commenti sul toto-Quirinale, complicati questa volta dall’ingombrante presenza sul mercato politico-finanziario di Mario Draghi, uno che sarebbe un candidato “doc” e più o meno appoggiato da tutti, ma che – abbandonando Palazzo Chigi – rischierebbe di lasciare un vuoto incolmabile.
Grande incertezza, quindi, e consueti maneggi di palazzo con rischi pure di crisi di governo, eppure tutto questo avviene perché agli italiani – ai sensi del dettato costituzionale – sarà vietato ancora una volta il sacrosanto diritto-dovere di eleggersi direttamente il proprio presidente.
Proprio l’attività di Draghi come premier sottolinea che quando una persona è di valore sa fare argine con la propria autorevolezza all’orgia arrembante di partiti e partitini che banchettano sulle briciole del potere, e ancora di più lo sarebbe se quel leader fosse legittimato dalla volontà popolare.
Eppure l’elezione diretta del Capo dello Stato in Italia è da sempre un tabù, quasi come l’energia nucleare: non se ne deve parlare “a prescindere”, il parlamento si dimostra incapace di portare avanti il progetto (o non lo vuole proprio appoggiare) e non c’è neppure la possibilità di mettere sul tappeto pregi e difetti di una alternativa a un parlamentarismo in fase calante.
Se questo sistema poteva essere credibile nel 1948 – quando il timore generale era un ripetersi della dittatura – il concetto del parlamentarismo perfetto è oggi del tutto superato, soprattutto perché ha dimostrato “a posteriori” molti difetti nella gestione della cosa pubblica che non potevano essere considerati nelle volontà dei Padri Costituenti.
A far maggior danno, poi, le incrostazioni che man mano si sono si sono moltiplicate negli anni portando fuori dal parlamento il “vero” potere e soprattutto i diversi sistemi elettorali che hanno sostituito il concetto di merito o popolarità con quello delle liste a scatola chiusa, dove capi e capetti impongono i loro yesman, e ti saluto democrazia.
Mai come ora una elezione diretta dell’inquilino del Quirinale permetterebbe al Paese di sentirsi più unito, rappresentato, coeso.
Tra l’altro l’elezione diretta a uno a due turni (meglio il sistema con ballottaggio) darebbe al Presidente non solo una chiara investitura popolare, ma anche sarebbe garanzia della sua autorevolezza e quindi dell’autonomia che potrebbe e dovrebbe vantare proprio nei confronti dei partiti politici di cui oggi è invece spesso un ostaggio, proprio perché solo grazie a loro è stato eletto.
Bisognerebbe anche riflettere che – mentre la legge elettorale per il parlamento è in affanno ed ogni sei mesi se ne chiedono cambiamenti – a ben pensare una sola riforma elettorale ha attecchito ed ha dato frutto in Italia: l’elezione diretta del sindaco.
Una scelta decisa in poche settimane da un mondo politico in agonia nel 1993 sull’onda di “mani pulite” e di una morente “prima repubblica”, ma che si è dimostrata formula vincente e che quindi dovrebbe essere significativamente ripresa.
Forse è davvero ora di riparlare di presidenzialismo perché l’Italia ha bisogno di decisioni, di tempi di reazione adeguati alla situazione internazionale ed europea con persone che abbiano il coraggio di prendere decisioni senza rimanere impigliate nell’eterno scontro tra partiti, correnti, gruppi e sottogruppi e la necessità di centellinare nomine e responsabilità, insomma di accontentare sempre tutti.
L’Italia democratica ha compiuto 75 anni, è assurdo pensare che qualcuno non veda nella forma repubblicana il sistema più logico per governare il paese, ma gli italiani non sono più quelli del 1948 e sono stufi di “delegare” soprattutto quando in loro nome si organizzano pateracchi e si combinano pasticci.
Se la sinistra langue, che almeno il centro-destra prenda in mano con forza questa tematica che forse potrebbe trovare ampi compensi in ogni settore politico, ma soprattutto nell’opinione pubblica.