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Da una teologia delle religioni a una teologia della religione

L’uomo desidera una salvezza personale e si aspetta che questa salvezza sia identificabile con una persona, con un soggetto capace di amare. Ed è proprio tale nozione antropologica di religione che si apre con naturalezza verso una dimensione personale e salvifica, sfociando in una nozione tipicamente teologica. Il commento del teologo Simone Billeci

Non troppi giorni fa, tra le righe di questa testata online, un articolo a firma di Gabriele Carrer, dal titolo “Serve un inviato per la libertà religiosa. Pressing della Camera sul governo”, metteva in evidenza l’attenzione della politica italiana sui temi inerenti la libertà religiosa e al dialogo interreligioso.

L’indagine teologica postconciliare ha mostrato particolare interesse per le suddette tematiche, al punto da caratterizzarne la riflessione dei decenni successivi.

Oggi, tuttavia, ad attrarre l’attenzione di alcuni teologi di lingua italiana (e non solo di lingua tedesca) è il tema della religione, dell’homo religiosus.

Il ritorno di un profilo fenomenologicamente complesso e filosoficamente alto del sacro offre alla riflessione teologico-fondamentale un utile protocollo di mediazione per superare l’impasse della riduzione della questione del divino al logicismo della dimostrazione teoretica classica, come anche alla requisizione del tema dentro la logica autoreferenziale dell’apologia confessionale. Ancora più interessante, però, sembra la possibilità che ne deriva di rivitalizzare, in termini propriamente teologici, i tratti dell’originale Rivelazione biblico-cristiana di Dio, in riferimento alla questione universale della religione e della sua verità.

Studiare la fenomenologia della religiosità umana è compito dell’antropologia culturale, dell’antropologia filosofica e della filosofia della religione. Ha un senso interrogarsi sull’essenza della religione anche da un punto di vista espressamente teologico? La teologia ha la competenza di dare un contributo autonomo su questo tema?
La problematica rimanda, anzitutto, alla necessità di un chiarimento teologico del concetto di religione, e precisamente di un chiarimento che non sia assorbito dall’ambito di una Teologia delle religioni, ma sia propedeutico al discorso teologico-fondamentale propriamente detto.

Infatti, l’interesse della Teologia fondamentale per la religione ha radici sia antiche, che rinviano all’Apologetica cattolica classica e alla successione dei suoi trattati dimostrativi, ma anche profonde poiché l’annuncio della fede ha assunto fin dall’origine la grammatica dell’esperienza religiosa dell’uomo riqualificandola e rivelandone il senso ultimo. Se la Teologia della credibilità può essere interessata ad una riflessione sulla religione a motivo del collegamento di quest’ultima con i praeambula fidei, alla Teologia della Rivelazione interessa solo richiamare questi aspetti della religiosità umana che si collegano con una qualche apertura dell’uomo ad un rapporto personale con l’Assoluto, e che coinvolgono pertanto anche una certa apertura ad una rivelazione della divinità.

Quanto al concetto teologico di religione, in particolare, la sua essenza non consiste semplicemente in una situazione dell’esistenza o in uno stato della coscienza, ma nel reale trascendere verso Dio, in un affermato interesse per la salvezza e nel coraggio di percorrere un cammino nella prassi corrispondente. Perciò la religione non può neanche essere definita solo a partire dalle funzioni dell’Assoluto nella nostra esistenza, ma può essere definita dalla prassi salvifica che cerca la redenzione, e nei limiti del possibile la trova, in quella e per quella realtà che teologicamente viene chiamata “Dio”.

Il rapporto con Dio, l’ordo ad Deum, tuttavia, non riguarda solo l’aspetto di dipendenza costitutiva dell’essere umano da Dio, ma assume anche la forma di una vera e propria aspirazione di redenzione. Essere in un rapporto di redenzione con Dio, comunque, non significa che l’uomo lo debba poter realizzare autonomamente. Per l’uomo in puris naturalibus questo rapporto sarebbe possibile, nella migliore delle ipotesi, solo come desiderio disperato del definitivo superamento della differenza cristiana della salvezza (desiderium naturale videndi Deum). Naturalmente questo rapporto nei confronti di Dio non è ancora religio nel senso del concetto teologico di religione.

Non si tratta, dunque, del rapporto in quanto tale, per quanto possa essere reale ed esistentivo, ma della sua realizzazione nell’orizzonte del problema della salvezza. L’uomo desidera una salvezza personale e si aspetta che questa salvezza sia identificabile con una persona, con un soggetto capace di amare. È proprio tale nozione antropologica di religione che si apre, pertanto, con naturalezza verso una dimensione personale e salvifica, sfociando in una nozione tipicamente teologica.

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