Una decisione della Corte di Giustizia e una proposta della Commissione Ue sui movimenti transfrontalieri dei rifiuti offrono lo spunto per due riflessioni riguardo l’economia circolare. Ecco quali secondo Massimo Medugno, direttore generale Assocarta
Una recente decisione della Corte di Giustizia Ue in materia di spedizioni di rifiuti e la proposta presentata dalla Commissione sui movimenti transfrontalieri dei rifiuti offrono l’occasione per due riflessioni nel momento in cui il nostro Paese si accinge a varare la Strategia sull’Economia Circolare e, in successione, a elaborare il Piano Nazionale sulla Gestione dei Rifiuti.
Cominciamo dalla Corte di Giustizia, Ottava Sezione, con la recente sentenza dell’11 novembre 2021, nella causa C 315/20. La sentenza afferma che i rifiuti urbani non differenziati rimangono tali anche quando siano stati oggetto di un’operazione di trattamento dei rifiuti che non ne abbia sostanzialmente alterato le proprietà.
Il caso riguarda una società di trasporti che aveva chiesto alla Regione Veneto l’autorizzazione preventiva per la spedizione, verso un cementificio sito in Slovenia, di 2000 tonnellate di rifiuti urbani non differenziati prodotti in Italia. Tali rifiuti erano stati sottoposti ad un trattamento meccanico, ai fini del loro utilizzo in co-combustione, e classificati dall’impianto di provenienza, a seguito di tale trattamento, sotto la voce 19 12 12 del Cer.
Dopo diversi gradi di giudizio il caso arriva di fronte alla Corte di Giustizia Ue che dà ragione al Veneto, affermando che i rifiuti in esame conservavano, a seguito delle operazioni di trattamento preliminare, la loro natura originaria e, quindi, riteneva (ai sensi dell’articolo 182 bis, paragrafo 1, lettera b, del decreto legislativo n. 152/2006 e dei principi di autosufficienza e di prossimità), che i rifiuti urbani non differenziati dovessero essere recuperati in uno degli impianti idonei più vicini al luogo di produzione o di raccolta.
In sostanza non basta un “trattamento” per far diventare un rifiuto urbano (che deve osservare strettamente i principi autosufficienza e prossimità nella Regione di produzione) in uno speciale, che invece può muoversi tra Regioni e tra Stati con maggiore fluidità.
La prima riflessione è nel realismo e nel pragmatismo della Corte che “smaschera” un possibile artificio che potrebbe impattare significativamente sui diversi flussi dei rifiuti in termini di pianificazione.
Emerge, di conseguenza, che è imprescindibile che la pianificazione sia corretta ed adeguata a livello regionale e statale e che si evitino forme (classificazioni) che non corrispondono alla sostanza (effettive proprietà dei rifiuti).
Lo stesso principio si potrebbe auspicare che venga applicato ai troppi scarti del riciclo da raccolte differenziate, conseguenza della scarsa qualità delle stesse.
Si tratta in buona sostanza di rifiuti urbani che, per effetto della raccolta differenziata qualitativamente non adeguata e del successivo riciclo, diventano rifiuti industriali.
Lo stesso principio del divieto di movimentazione per “rifiuti misti e indifferenziati” (dall’inizio fino alla fine della spedizione) è scolpito nella proposta di nuovo regolamento sul movimento transfrontaliero dei rifiuti (art. 19 della proposta), presentato lo scorso 17 novembre, che in questo modo si pone assolutamente in linea con la citata sentenza della Corte di Giustizia.
Ma v’è di più. Infatti, gli impianti di recupero finali dovranno indicare anche le quantità di materiali effettivamente recuperati o riciclati nel sito.
Qual è la ratio della proposta di regolamento sui movimenti transfrontalieri? Rendere più facile l’economia circolare a livello europeo, controllare e monitorare i movimenti di rifiuti negli stati Ocse (ad esempio Usa) e non Ocse (ad esempio India).
L’allegato X contiene i criteri per dimostrare che la gestione del rifiuto nel Paese di destinazione non Ocse viene fatto in maniera sostenibile. Quindi, ad esempio, dovrà avere adottato le migliori tecniche disponibili che sono vigenti a livello europeo. Come dimostrarlo? Non basterà un’autodichiarazione ma gli esportatori dovranno dimostrare la conformità ai criteri dell’allegato X tramite una terza parte indipendente e accreditata. In mancanza di tale audit l’esportazione sarà vietata. L’audit potrà essere evitato solo quando tra Unione Europea e Stato terzo ci sia un accordo che accerti il rispetto delle condizioni in via generale. Il tutto viene espressamente sancito nel nuovo art. 43 (“Additional obligations”).
Come ricorda la relazione di accompagnamento nel 2018 il commercio globale ha raggiunto 182 milioni di tonnellate di rifiuti, con un picco di 250 milioni nel 2011. L’Unione Europea è un importante attore in questo contesto si considera che ha esportato 32 milioni di tonnellate di materiali riciclabili (tra cui plastiche, carta e tessili) nei Paesi non Ocse contro 13 milioni di importazioni. Appare evidente il gap che emerge tra un’Unione Europea che intende essere un campione dell’economia circolare e le performance reali, che evidenziano ancora che è un esportatore netto.
Per questo, la nuova proposta intende ridurre barriere e appesantimenti burocratici all’interno dell’Unione Europea. Come? Innanzitutto la Commissione propone un allineamento rigido alla gerarchia dei rifiuti (prima prevenzione, riuso, riciclo e recupero energetico), l’uso sempre più diffuso di soluzioni digitali, con “fast track” per facilitare le operazioni negli impianti di recupero e l’armonizzazione tra differenti classificazioni che possono persistere anche tra Stati che fanno parte della Unione Europea.
Se la prima riflessione era legata al tema della “forma” che non sempre è sostanza, la seconda riflessione è che la “sostanza dell’economia circolare” deve diventare un perno delle politiche industriali europee (e quindi nazionali) ed entrare nella “forma”, e, quindi nei diversi Piani di Gestione Regionali e, in quello Nazionale, oltre che nella Strategia per l’economia circolare (Sec) in corso di definizione a livello nazionale.
Un esempio? All’interno della Sec c’è un paragrafo dedicato delle materie prime critiche (Crm). Ogni tre anni viene stilata ed aggiornata la lista di Crm a livello europeo al fine di promuovere ricerca e innovazione, condurre trattative commerciali e attuare l’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Due sono i criteri adottati dalla Commissione per definire la lista delle materie prime critiche: importanza economica e rischio di approvvigionamento per l’industria europea. Ad oggi – lista 2020 – sono 30 le Crm individuate tra cui Antimonio, Afnio, Barite, Bauxite, Berillio, Bismuto, Borato, Carbon coke, Cobalto, e le Fluorite, Fosforite, Fosforo, Gallio, Germanio, Stronzio, Tantalio, Terre rare leggere e Terre rare pesanti.
Ma non ci sono solo le Terre rare e l’art. 198-bis, co. 3, lett. g), del decreto legislativo 152/2006, che riguarda il Piano Nazionale per la Gestione dei Rifiuti, fa riferimento alla “individuazione di flussi omogenei di rifiuti funzionali e strategici per l’economia circolare e di misure che ne possano promuovere ulteriormente il loro riciclo”.
La disponibilità di “rifiuti strategici e funzionali all’economia” può influire sull’approvvigionamento di interi settori industriali (lo stiamo vedendo in questi giorni con il rialzo dei costi di tutte le materie prime, anche quelle secondarie), oltre che il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione del Paese, come, ad esempio, il caso della carta da riciclare e rottami e molto altro. Insomma, anche tali flussi vanno individuati e fatti oggetto di misure adeguate, tramite sistemi di raccolta sempre più di qualità, in modo che contribuiscano a rendere l’Europa e l’Italia sempre più circolari.