La prima bozza dello Strategic Compass dell’Ue sembra introdurre importanti novità, a partire dalla forza di reazione rapida da cinquemila unità e dall’istituzione di una “Joint Cyber Unit”. Si tratta di iniziative lodevoli, che cercano di segnare un cambio di passo rispetto al passato, anche se rimangono insoluti i nodi principali, di carattere non solo tecnico e operativo, ma soprattutto politico. Il punto di Pierluigi Barberini, analista del Desk Difesa & Sicurezza del Centro studi internazionali (CeSI)
Nel corso delle ultime settimane si è nuovamente intensificato il dibattito in merito alla costruzione di un’Europa della Difesa, in grado di giocare un ruolo di primo piano a livello geopolitico e militare nello scenario internazionale. La bozza dello Strategic Compass recentemente presentata sembra introdurre importanti novità in tal senso, quali una “Forza di reazione rapida dell’UE” composta da circa 5.000 uomini, l’istituzione di una “Joint Cyber Unit” e ulteriori proposte per intensificare la cooperazione europea in materia di difesa e sicurezza. Da un lato, si tratta di iniziative lodevoli, che cercano di segnare un cambio di passo rispetto al passato; dall’altro, tuttavia, rimangono insoluti i nodi principali, di carattere non solo tecnico e operativo, ma soprattutto politico, relativi all’implementazione di un processo che porti ad una vera Difesa comune in ambito europeo, partendo da un’analisi delle minacce e dei contesti geopolitici di riferimento comune, che si fondi a sua volta su visioni e interessi comuni, e che si traduca in azioni, anche di natura militare, comuni.
In tale ottica e alla luce delle (legittime) divergenze politiche tra i propri Stati membri, uno dei settori in cui le istituzioni Ue hanno cercato di investire maggiormente nel corso degli ultimi anni è quello industriale, sia in termini puramente economici che di policies, cercando di favorire, anche attraverso strumenti come l’European defence fund (Edf) e la Permanent structured cooperation (Pesco), la collaborazione e l’integrazione fra le aziende della Difesa dei vari Stati europei. La logica di tale spinta da parte dell’Ue verso la creazione di maggiori sinergie in ambito industriale è duplice. Da un lato, l’obiettivo è quello di ottimizzare e mettere a sistema le risorse economiche e il know-how tecnologico delle varie aziende della Difesa europee, al fine di realizzare programmi comuni ad alta valenza tecnologica in ambito militare, per competere con i colossi americani e mondiali del settore, nell’ottica di una riduzione dei costi e di una maggiore qualità dei sistemi prodotti. Dall’altro lato, l’idea è quella di contribuire alla creazione di una vera Difesa comune andando a integrare le aziende del settore, favorendo così la formazione di partnership e sinergie a livello tecnologico-industriale che si possano poi tradurre in una ancora più stretta collaborazione a livello politico-strategico. In sostanza, l’obiettivo è quello di integrare i mercati e i settori produttivi per procedere poi a una piena integrazione politica, nell’idea che progetti e visioni comuni a livello economico e industriale si traducano in una maggiore condivisione degli interessi politici, di difesa e di sicurezza da parte degli Stati.
In tale contesto, analizzando alcuni degli indirizzi che sembrano emergere dalla prima bozza dello Strategic Compass, non bisogna però commettere alcuni errori. Innanzitutto, in virtù della grande rilevanza politica, militare e tecnologico-industriale del Regno Unito, non si possono escludere le aziende britanniche, e la stessa Londra, da tale processo di maggiore integrazione. La bozza di documento dello Strategic Compass circolata in questi giorni parrebbe assegnare un ruolo di secondo piano alla cooperazione bilaterale con il Regno Unito, nell’idea di rafforzare l’asse dell’Europa continentale avente come perno Francia e Germania.
Se, da un lato, ciò è inquadrabile alla luce delle ovvie conseguenze della Brexit e della fuoriuscita di Londra dall’Ue, è tuttavia impensabile tagliare fuori da un’iniziativa che mira a costruire una vera Europa della Difesa il primo Paese del continente per spesa nel settore, espressione di alcune tra le capacità più avanzate con le proprie forze armate e all’avanguardia in alcune tra le tecnologie che saranno cruciali per il futuro con la propria industria. Non bisogna poi tralasciare la stretta cooperazione, già vigente, tra le aziende britanniche e le controparti europee continentali in molteplici settori, nonché la partecipazione del Regno Unito ad alcuni tra i più importanti progetti della Difesa attualmente in corso in Europa. Uno stretto e, se possibile, ancora più forte coinvolgimento del Regno Unito nel processo di costruzione di una vera Difesa europea, a tutti i livelli, non è importante solo per l’Europa in quanto soggetto (geo)politico, ma anche per la stessa Italia, in virtù della stretta collaborazione tra le forze armate e le aziende dei due Paesi. Non a caso, i frequenti incontri svoltisi nelle ultime settimane tra i rispettivi ministri della Difesa, Lorenzo Guerini e Ben Wallace, sembrano muoversi proprio in questa direzione, a conferma della partnership strategica tra i due Stati e del ruolo fondamentale che il Regno Unito può e deve giocare nella Difesa europea.
In secondo luogo, dalla bozza di Strategic Compass emerge la volontà di esercitare un maggiore coordinamento futuro, soprattutto in ambito navale, delle missioni dei Paesi europei nell’Indo-Pacifico, area elevata a teatro di interesse strategico per l’Ue. Se tale mossa strizza senza dubbio l’occhio agli Stati Uniti, che vedono nell’Indo-Pacifico l’arena di confronto privilegiato con la Cina, è anche indice della volontà europea di provare a giocare un ruolo attivo in quella che sarà probabilmente la regione che più di tutte determinerà i futuri equilibri globali.
Al tempo stesso, però, non bisogna perdere la vera “bussola” strategica europea, ovvero l’area euro-mediterranea, regione percorsa da numerose faglie di instabilità. L’Ue, anche alla luce delle limitate capacità di proiezione e influenza di cui dispone, dovrebbe focalizzare risorse ed energie sul Mediterraneo allargato e sull’Africa, per esprimere un’azione veramente comune, coesa ed efficace e provare a stabilizzare i numerosi focolai di crisi e tensione ai propri confini. In tale ottica, il rinnovato interesse dell’Ue per l’Indo-Pacifico può rappresentare un’opportunità, se giocata in maniera bilanciata ed equilibrata, per la stessa Ue e per l’Italia, la quale potrebbe svolgere un duplice ruolo: salvaguardare i propri interessi strategici primari, che fanno riferimento proprio all’area del Mediterraneo allargato, come più volte sottolineato dal ministro Guerini, iniziando al contempo ad avere una proiezione, seppur minima e temporanea, nell’Indo-Pacifico, nell’ambito dell’ombrello multilaterale dell’Ue, di raccordo con gli altri Stati europei già presenti e attivi nella regione, in primis Francia e Regno Unito.