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Il finanziamento pubblico. Cade un altro tabù 5 Stelle

Travaglio sul “Fatto Quotidiano” usa la parola “partito” ed elenca cinque ragioni perché “è giusto” aprire al 2 per mille

Durante il recente duello a Otto e mezzo, ospiti di Lilli Gruber su La7, Matteo Renzi l’aveva definito “una vedova” di Giuseppe Conte. Chissà cos’avrà pensato l’ex presidente del Consiglio e leader di Italia Viva stamattina dopo aver sfogliato i giornali e aver trovato sul Fatto Quotidiano una nuova, l’ennesima, difesa offerta da Marco Travaglio all’“avvocato del popolo” oggi alla guida del Movimento 5 Stelle.

“Crescete e moltiplicatevi” è il titolo dell’editoriale. “Ciò che nel 2009 appariva un tradimento oggi si chiama crescita”, è l’ultima frase. L’oggetto è il 2 per mille, su cui il Movimento 5 Stelle era chiamato a esprimersi ieri e oggi. Travaglio si chiede: “È giusto che cada anche” il tabù “del 2 per mille?”. “Secondo noi, sì”, è la risposta. Cinque le ragioni elencate dal direttore del Fatto Quotidiano.

Tra queste, segnaliamo la quarta, che riguarda una delle “regole interne” del “partito” – così lo chiama Travaglio, nonostante i pentastellati siano molto restii a definirlo tale: nel quesito indicato, in modo più criptico, il “registro nazionale dl 1492013”. Ecco cosa scrive.

Alcune di quelle pentastellate, all’inizio, hanno portato al successo un movimento che non solo non rubava, ma predicava e praticava una politica sobria. Ora sono diventate un handicap, anzi un boomerang, nella politica “sangue e merda” che trasforma i virtuosi in fessi. Se un eletto 5S non può aspirare al terzo mandato, deve restituire parte dello stipendio e non può accedere a fondi pubblici, è più facile per gli altri partiti comprarselo promettendogli terzo mandato, stipendio pieno e fondi pubblici. Così il partito più virtuoso non solo ha tutti contro, ma li combatte con le mani legate dietro la schiena.

Sul 2 per mille non sono mancate le critiche. L’ex ministro Danilo Toninelli è entrato in tackle sull’ex presidente del Consiglio: “Sono contrario. Si tratta di soldi pubblici e noi che parliamo tanto di identità dovremmo ricordarci che la nostra identità si fonda sul fare politica senza gravare sulle casse dello stato. Non capisco neppure come se ne possa parlare”. Dubbioso anche il deputato Davide Zanichelli: “Se lo facciamo per 300.000 euro c’è da capire se il gioco vale la candela”.

Si tratta, osserva Il Tempo, di “uno stress test per i pentastellati, una ‘prova del fuoco’ per il presidente Giuseppe Conte, un altro ‘boccone amaro’ per Beppe Grillo. Anche se la maggioranza delle truppe parlamentari veleggia sulla linea dello sfoltimento dei tabù del Movimento delle origini. Il prossimo passo, infatti, dovrebbe essere il doppio mandato con delle deroghe, ma questo tema verrà affrontato non nell’immediato, visto il rischio di alzare ulteriormente il livello della tensione fra i deputati e i senatori in un momento delicato per la vita politica, tra legge di bilancio allo studio del Parlamento ed elezioni del presidente della Repubblica”.

Come ha spiegato La Stampa, “se prevarrà il sì, il Movimento dovrà iscriversi al registro nazionale dei partiti. Come mette in guardia il senatore M5S Primo Di Nicola, il rischio è di compiere ‘un passo decisivo verso l’omologazione del Movimento alla vituperata partitocrazia’. Se vincerà il no, invece, sarà la leadership di Conte a ricevere una prima sconfessione del suo progetto di rinnovamento. E a sgambettarlo sarebbe la base grillina, non le truppe parlamentari, sempre dilaniate, né Beppe Grillo, con cui i rapporti sono gelidi ormai da mesi”.

“Bene che vada”, scrive il Quotidiano Nazionale, “il M5S potrà accedere al 2 per mille non prima del 2023. Infatti domani scade il termine annuale entro il quale si deve risultare iscritti al registro dei partiti per concorrere al riparto degli importi che spettano in base alla scelta fatta dai contribuenti. E per quel giorno è impossibile che si sia conclusa la procedura per ottenere l’iscrizione: prima servirà un’istruttoria curata dalla Commissione di garanzia sugli statuti e la trasparenza sui rendiconti, un organismo composto da cinque magistrati che ha sede alla Camera, a palazzo San Macuto”.

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