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Usa-Francia. Dopo l’intesa al G20, ora si guarda alla Nato?

Di Federiga Bindi

Per Macron un segretario generale dell’Alleanza scelto da Parigi sarebbe una vittoria. E l’incontro a Roma con Biden… L’analisi di Federiga Bindi, professoressa dell’Università di Roma Tor Vergata e della University of Colorado

Dopo due anni di riunioni on, i leader mondiali sono tornati a riunirsi in persona e non poteva esserci luogo più scenico di Roma per farlo. Quali sono i principali risultati del G20 a guida italiano, se visti dall’altra parte dell’Atlantico?

Innanzitutto, la prova – qualora ve ne fosse mai bisogno – che la diplomazia via Zoom non funziona. L’essenza della diplomazia è il contatto personale, ancor più quando si tratta di diplomazia ai massimi livelli. Primo, perché per quanto possa essere sicura una conversazione via etere è sempre esposta a potenziali orecchi indiscreti. Ma soprattutto perché negli incontri a tu per tu possono essere dette cose diverse da quelle che si direbbero di fronte a uno schermo. Per Joe Biden, uomo dalle qualità umane fuori da comune, gli incontri a tu per tu sono l’essenza della politica e non si è fatto certo scappare l’occasione.

Ogni leader ha una propria agenda domestica nei negoziati internazionali e Biden non ha fatto eccezione. Mentre era a Roma, a Washington stanno continuando i difficili negoziati sul bilancio e sulla legge sulle infrastrutture, quindi tutta la comunicazione della Casa Bianca ha teso a enfatizzare l’importanza per la casse media americana della politica estera del presidente. Per la verità, l’interesse dell’americano medio per la politica estera è abbastanza limitato, ma qualunque cosa possa aiutare va sfruttata in questo momento. Biden è cosciente di avere ancora un anno a disposizione – fino alle elezioni di midterm 2022 – per cambiare il Paese, utilizzando l’opportunità offerta per il Covid-19.

Dall’educazione – che ha ormai prezzi stratosferici e qualità assai più bassa che in Europa o Asia – alla mancanza di sanità pubblica, per non parlare di diritti base per gli europei ma inesistenti in America come malattie e ferie pagate, per arrivare alle infrastrutture (provate a prendere un treno) e alla green economy, dopo i quattro anni di Donald Trump c’è tantissimo da fare e poco tempo per riuscirci. Il viaggio di Biden in Europa – in secondo del suo mandato e il secondo in Europa – è stato dunque fisicamente all’estero ma in realtà tutto pensato per poter essere rivenduto a una audience domestica, in termini di vantaggi per gli americani medi. Un risultato tanto più necessario dopo il disastroso ritiro dall’Afghanistan e la meno che stellare gestione dei rifugiati al confine Sud del Paese.

La visita è stata quindi accuratamente coreografata. Il vantaggio aggiunto di Roma è il Vaticano e la prima visita a Roma di Biden, devotissimo cattolico e secondo presidente cattolico dopo John Fitzgerald Kennedy, è stata a papa Francesco. I due leader sono uniti dell’età avanzata e per l’impostazione cattolico-progressista. Le foto dei due che ridono – comparate al muso lungo del Papa accanto a Trump – si commentano da sole.

Biden è uscito dall’incontro affermando che il Papa gli ha detto che è un buon cattolico e che può continuare a fare la comunione e quindi ha dato seguito alle parole con gli atti andando alla Messa e a comunicarsi alla chiesa di Saint Patrick. Potrebbe sembrare un atto privato e insignificante, ma è stato il momento più importante della due giorni romana per il presidente americano.

I cattolici sono stati a lungo visti con sospetto, quando non emarginati, negli Stati Uniti. Una delle ragioni della guerra di indipendenza fu il diritto di culto (cattolico) concesso dalla madrepatria al Quebec. Stesso motivo alla base della guerra del 1812 contro la Gran Bretagna. Per i puritani, il cattolicesimo era un sistema inerentemente autoritario che creava dispotismo politico. Il sospetto verso i cattolici non si è mai sopito. Per rendere le cose più complicate, i cattolici americani sono fieramente divisi tra progressisti e conservatori. La questione teoricamente più importante che li divide è l’aborto e il fatto che Biden lo opponga a livello personale ma non a livello politico. Guidati dietro le quinte da gente come l’ex nunzio apostolico e acerrimo nemico di papa Francesco, monsignor Carlo Maria Viganò, i vescovi conservatori sostengono che a causa della sua posizione politica sull’aborto Biden non può essere ammesso alla comunione. Ovviamente la reale spaccatura è politica: i cattolici progressisti sono tendenzialmente democratici e conservatori sono tendenzialmente repubblicani. La questione non è di poco conto in un Paese dove il voto latino – predominantemente cattolico – sta assumente un peso sempre maggiore. L’ora e mezzo passata con papa Francesco sarebbe pertanto sufficiente per giustificare il viaggio di Biden a Roma.

Ma il presidente americano è riuscito a cogliere anche altri successi. Una delle priorità politiche dell’amministrazione statunitense era approvare la global corporate tax. Per quanto a Paesi come l’Italia che hanno una tassazione assai maggiore cambierà poco, per molte multinazionali statunitensi la nuova tassa globale minima renderà assai meno conveniente delocalizzare, a beneficio del mercato interno, che costituisce la vera priorità di questa amministrazione.

A questo si aggiunga la probabile ripartenza dei negoziati con l’Iran, un tentativo di dialogo con Turchia e Cina e, non ultimo con la Francia.

Tornando alla storia, la Francia ha sostenuto gli Stati Uniti nella lotta per l’indipendenza ed è storicamente il primo alleato di Washington, ma Parigi è da sempre irritata per la relazione speciale Washington-Londra. Il caso Aukus non ha aiutato e le relazioni sono al momento tesissime. L’incontro con Emmanuel Macron, altrettanto minuziosamente coreografato è finito con un comunicato sull’importanza della difesa europea, un pallino del presidente francese, e del coordinamento della politica europea di difesa con la Nato. Macron, che è sotto elezione in una competizione che si annuncia meno semplice della precedente, si attende però atti tangibili dagli Stati Uniti. Andando per esclusione, e ragionando strategicamente, una compensazione potrebbe venire dalla scelta del prossimo segretario generale della Nato, consuetudinariamente un europeo sì, ma scelto dall’azionista di maggioranza, gli Stati Uniti.

I francesi hanno storicamente tenuto un piede dentro e un fuori dall’alleanza e non hanno quindi mai avuto detenuto la posizione di segretario generale. Tuttavia, dopo quattro segretari generali nordici, sarebbe il momento di un paese del Sud. Con il vento che spira è verosimile pensare a una donna: si sa che Federica Mogherini ci sta facendo un pensierino, così come l’ex presidente croata ed ex vicesegretario generale della Nato Kolinda Grabar-Kitarović. Un segretario generale dell’Est è tuttavia difficilmente ipotizzabile per le ripercussioni sulle già tese relazioni con la Russia e non solo e gli italiani hanno già avuto Manlio Brosio e tre segretari generali ad interim. I portoghesi hanno il segretario generale delle Nazioni Unite, gli spagnoli hanno avuto non troppo indietro nel tempo Javier Solana. Un francese alla Nato sarebbe un’indiscussa e necessaria vittoria per Macron, ma anche un modo di ancorare gli scalpitanti francesi – l’unica potenza nucleare rimasta all’Unione europea – alla Nato. E si sa, per gli americani, al netto di tutti le chiacchiere sull’importanza della difesa europea, la priorità resta mantenere una difesa europea Nato-centrica. Si aggiunga che Biden, le cui radici irlandesi sono molto forti, ha meno pregiudiziali dei precedenti presidenti, mentre il segretario di Stato Antony Blinken è francofono e filofrancese. Che sia questo il significato occulto del comunicato emesso dopo l’incontro con Macron e il risultato più significante del G20 romano?

(Foto: Twitter @EmmanuelMacron)

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