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Xi Jinping, l’uomo-Stato. La diagnosi di Geopolitica.info

Di Marco Suatoni e Lorenzo Termine

Un momento di transizione storica. Il Plenum del Partito comunista cinese lancia il segretario verso la conferma al Congresso nel 2022. E nel Politburo partono le manovre per sostituire la vecchia guardia. Xi Jinping ha completato la trasformazione nell’uomo-Stato. L’analisi di Marco Suatoni (Geopolitica.info) e Lorenzo Termine (Sapienza)

Già all’inizio di ottobre, in sede di Comitato Centrale era stata redatta una versione aggiornata della storia del Partito Comunista Cinese, dove si dedicava particolare attenzione agli obiettivi raggiunti nella nuova era targata Xi Jinping.

La proclamazione entusiastica del mese scorso ha poi trovato conferma nel corso del sesto plenum del XIX Comitato Centrale, svoltosi a Pechino fra l’8 e l’11 novembre. La sessione plenaria, infatti, ha confermato le aspettative con l’adozione ufficiale di una risoluzione storica (il cui testo completo deve ancora essere pubblicato), che ratifica il successo e i traguardi raggiunti dal Pcc di recente, evidenziando senza giri di parole il ruolo di prim’ordine svolto dalla “dottrina Xi”.

Una vera e propria scuola di pensiero quella che ruota attorno all’attuale segretario generale, prerogativa che nella tradizione cinese deve contrassegnare ogni leader che si rispetti. Il Partito Comunista Cinese ha festeggiato quest’anno il centenario della sua fondazione, e in questo secolo tumultuoso soltanto altri due leader cinesi avevano presieduto in passato alla pubblicazione di una risoluzione del genere, ovvero gli “intoccabili” Mao Zedong e Deng Xiaoping. Questa esclusività non è che una prova ulteriore dell’eccezionale rango a cui è ormai assurto Xi Jinping, tantopiù che l’intero partito ha mostrato una compattezza senza precedenti nel sostenere la risoluzione.

Nella storia della Repubblica Popolare, il ricorrere di questi grandi eventi e incontri programmatici ha creato rituali attraverso cui il Partito riesce a conservare nel corso del tempo la sua presenza monolitica e inalterabile.

Le diverse sessioni plenarie del Partito Comunista Cinese, che si tengono pressoché ogni anno, rappresentano un appuntamento sempre molto atteso e pubblicizzato, ma il cui significato rimane spesso imperscrutabile agli attori occidentali, vista la natura privata degli incontri e l’apparente banalità dei comunicati finali, in cui difficilmente sono rivelate le linee guida effettivamente stabilite.

La tre giorni pechinese ha visto quindi i 370 membri del Comitato Centrale riunirsi per partecipare all’ultima sessione plenaria in programma prima del vero grande impegno dell’anno prossimo, ovvero il XX Congresso del Partito Comunista.

Per dare un contesto e comprendere l’importanza di questa ricorrenza, si pensi che proprio il XIX congresso del 2017 ha fornito le basi perché il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi fosse solennemente inserito nella costituzione del Partito.

Al XX Congresso del 2022 il segretario generale verrà ora portato quasi trionfalmente verso l’ottenimento di un terzo mandato, valicando i limiti imposti in passato e ottenendo a tutti gli effetti una consacrazione alla leadership perpetua, per la prima volta dall’era di Mao.

Come accade ogni cinque anni, il Congresso del Partito Comunista presiederà alla rielezione del Comitato Centrale: mentre sono circa 2.200 i delegati che partecipano al Congresso, solo 370 di loro entrano poi a far parte del Comitato Centrale. Il cuore pulsante della politica cinese, il Politburo, è infine formato da 25 membri, sette dei quali siedono anche nel sancta sanctorum del Partito, il Comitato permanente, incluso il segretario generale Xi.

La Cina tutta, così come molti Paesi esteri nonché diversi grandi investitori, si aspettavano da questa sessione plenaria una dichiarazione di unità, forza e ottimismo, nonostante l’incertezza nel quadro globale e le scorie della crisi pandemica.

In un certo senso, i risultati degli incontri – comunicati mantenendo come sempre toni moderati e un profilo basso – hanno rappresentato la conferma di queste aspettative, ma hanno anche posto le basi per l’avvento del nuovo establishment cinese, una classe dirigente giovane, preparata, competente, sotto l’ala protettiva del timoniere Xi.

La transizione in atto ai vertici del partito iniziare ad essere visibile ora che l’anagrafica stessa del Politburo costringerà la vecchia guardia a farsi da parte, con molti gerarchi che stanno ormai toccando il limite d’età canonicamente fissato a 68 anni (limite che Xi stesso ha raggiunto lo scorso giugno, ma dal quale resta evidentemente esentato).

La sessione plenaria è arrivata in un momento denso di argomenti scottanti, che sono stati però in larga parte aggirati: fra questi spicca il mancato commitment verso la crisi climatica discusso in sede di COP26, lo squilibrio economico esacerbato dalla caduta di Evergrande, il pugno duro contro le big tech locali, e soprattutto le tensioni crescenti che vanno ad accumularsi attraverso lo stretto di Taiwan.

Come sempre, nei resoconti finali si tenta di evitare i dettagli e concentrarsi più che altro sulla postura adottata, dando un’impressione di controllo e pianificazione; vengono sì ribaditi i traguardi raggiunti dalla Cina, ma soprattutto evidenziato il suo slancio verso il futuro, la capacità di modellare la propria storia cementando la prosperità domestica e consolidando il ruolo di spicco sul teatro globale.

Lo sviluppo economico rimane l’argomento di maggiore interesse, con il punto chiave della redistribuzione armonica – incudine su cui sono state recentemente schiacciate le grandi aziende big tech – che deve comunque andare di pari passo con il raggiungimento della prosperità nazionale, lasciando quindi intendere un utilizzo della linea guida ad uso e consumo della contingenza storica. La parola d’ordine della crescita qualitativa piuttosto che quantitativa suggerisce che gli investimenti nel settore tecnologico resteranno preponderanti, per spingere il Dragone ancora più in alto nelle catene di valore globali e ridurre la dipendenza strategica da paesi terzi.

Anche questa volta, le relazioni e i documenti programmatici risultanti dal plenum non offrono dichiarazioni roboanti, ma più che altro una conferma delle varie posizioni assunte nel corso degli anni dalla leadership del Partito.

L’unica vera certezza è rappresentata allora dalla consacrazione del segretario generale, titolo che ormai sembra non bastare più a descrivere l’effettivo peso dell’uomo al comando. Xi è sempre più espressione del Partito che si fa Stato: e se, come annunciato durante il Congresso del 2017, Xi Jinping è il “cuore” del Partito, lo è anche dello Stato.



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