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Il grande gioco africano di Macron. La radiografia di Sanguini

Di Armando Sanguini

Abbandona il Mali, apre un varco ai mercenari russi, riposiziona le truppe in Sahel. Dove punta il grande gioco africano di Emmanuel Macron? E per l’Italia c’è ancora spazio? L’analisi dell’ambasciatore Armando Sanguini, Senior advisor dell’ Ispi

Una fotografia del maggio scorso riprende una dimostrazione popolare in Mali a favore delle locali forze armate e della cooperazione con la Russia. Qualche analista vi ha voluto vedere un evento costruito ad arte per far credere a una vicinanza con Mosca che in realtà non esiste. È credibile? Forse, ma forse no, visto che i rapporti tra Mosca e Bamako sono di lunga data, risalendo all’epoca dell’Unione sovietica e proseguendo dopo la sua caduta fino ad oggi; per di più su un ampio ventaglio di settori (dalla difesa all’istruzione). Del resto, lo stesso Premier Maiga vi ha studiato come altri membri della Giunta al potere.

E proprio venendo ai nostri giorni, varrà la pena ricordare che in base a un contratto del 2019 la Russia ha consegnato al Mali 4 elicotteri d’attacco con relative munizioni e personale di addestramento. E conta soprattutto la duplice dichiarazione del Premier Maiga: l’una relativa al “diritto sovrano” del Mali a perseguire partenariati di sicurezza anche al di là di quelli esistenti con la Francia e l’Unione europea; l’altra riguardante l’accusa a Parigi di ritirare le sue truppe senza alcuna previa consultazione e dunque “abbandonando” in tal modo il paese (operazione Barkhane) in un momento tanto nevralgico.

Questi cenni, per quanto sommari, mi sembrano necessari per interpretare correttamente la dura reazione negativa assunta da Parigi contro il governo di Bamako in merito alla notizia diffusa nel mese di settembre circa un negoziato in corso col noto corpo militare privato russo Wagner per l’invio a Bamako di un migliaio di sue truppe con compiti di addestramento, protezione e antiterrorismo per un costo di oltre 9 milioni di euro da ripagarsi con l’accesso a tre giacimenti
minerari, due d’oro e uno di magnesio.

Ebbene, ammesso e non concesso che si fosse alla vigilia dell’accordo, ancora da dimostrare, una tale reazione appare alquanto singolare, ancorché comprensibile, che la Francia, ex potenza coloniale e di fatto protagonista di una evidente politica protagonistica in Mali e nei cinque paesi del Sahel, ha il sapore di una sorte di colpa di “lesa maestà” dettata dal convincimento che il Mali continui ad una area di sua privilegiata influenza, tra l’altro dopo aver deciso autonomamente di ridurre drasticamente il suo apporto di truppe in seno alla cosiddetta operazione Barkhane.

Risale infatti a mese di luglio l’annuncio del Presidente Macron di chiudere quell’operazione militare, lanciata del 2013 nel nord del Mali e poi estesa progressivamente nei 5 Stati del Sahel (Mali, Niger, Chad, Burkina Faso and
Mauritania) con circa 5000 effettivi. La ragione? La crescente avversione alla politica francese in Mali della popolazione
del Paese e per ragioni diverse, da parte della stessa opinione pubblica francese che Macron ha considerato anche nell’ottica delle prossime elezioni presidenziali.

Il Presidente francese ha avuto comunque l’accortezza di coinvolgere una serie di Paesi europei tra cui l’Italia nella missione sostitutiva – la Task Force Takuba – di cui è riuscito a mantenere la leadership. Non solo, questa missione militare è
stata di fatto concepita nel perimetro di una ben più ampia architettura di sviluppo e di sicurezza nella forma variegata della Coalizione per il Sahel, del il G5 Sahel, della la Eutm Mali e della Minusmo (United Nations Multi Dimensional Integrated Stabilization Mission).

Si tratta di una architettura alquanto robusta rispetto a una Wagner che che per quanto si ritenga “sponsorizzata” dal governo russo – che certo non ha intenzione di fare concorrenza a quella occidentale – non può farle particolare ombra se non ipotizzando che essa non sia all’altezza degli orizzonti operativi per i quali si è andata formando. E ciò almeno nell’ottica del governo di Bamako. Ottica sulla quale i diversi protagonisti e attori di quest’architettura si interrogassero seriamente principalmente principalmente sul versante della domanda di sviluppo del Paese.

Aggiungiamo che il gruppo Wagner non può certo vantare una particolarmente elevata credibilità alla luce della sua esperienza nella Repubblica centro africana, in Ucraina, in Libia e in Siria e che resta in ogni caso di incerto esito il suo supposto intento di farsi ripagare con l’attività di esplorazione mineraria. Attività che troverebbe tra l’altro l’opposizione di alcuni gruppi armati che controllano miniere nel nord del Paese, come il Coordinamento dei movimenti dell’Azawad.

Ma tant’è. Anche i principali Paesi europei e la stessa Unione europea hanno espresso forti preoccupazioni su questa potenziale intesa e non hanno escluso di applicare altre sanzioni contro il leader della Wagner Yevgeny Prigozhin in aggiunta a quelle già decretate per la sua attività in Libia Lo stesso Blinken ha esternato l’allarme statunitense e ha parimenti lasciato ipotizzare l’applicazione di nuove sanzioni.

A fronte di questo scenario in cui gioca un ruolo non indifferente una componente ideologica, resta un dato di fatto e cioè l’espansione della politica di influenza russa in Africa, continente che a dire il vero e al di là di tanta retorica, l’Occidente, e non solo l’Europa, hanno trascurato per molti anni lasciando mano libera ad alcune potenze coloniali, in primis la Francia, e quindi alla Cina con risultati che sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere.

La Russia ci si sta muovendo a raggiera da poco tempo, come del resto altre potenze regionali extra africane, come la Turchia. Ma c’è da domandarsi se l’una e/o l’altra dispongano o siano disposte a mettere a disposizione di questi paesi del Sahel, a cominciare dal Mali, risorse tali da risultare competitive con l’Occidente rispetto ai bisogni di fondo delle popolazioni africane tra le quali la sicurezza non è l’assoluta priorità come non lo è la pressione migratoria.

Anche in questa ottica è parsa poco congruo l’annullamento della visita in Mali che il Presidente Macron avrebbe dovuto svolgere il 21 dicembre, ufficialmente per il COVID 19 ma più verosimilmente per divergenze sul calendario di ritiro delle
truppe francesi.

E l’Italia? Il nostro governo ha assunto da tempo un ruolo crescente nella crisi del Sahel ed è auspicabile che lo rafforzi non solo grazie al Trattato del Quirinale e al positivo esordio bilaterale con il nuovo Cancelliere tedesco, ma anche per rapporto che si è andato instaurando tra il Premier Draghi e Putin come emerge dalle dichiarazioni di quest’ultimo nel corso della conferenza stampa di fine anno dove è giunto a ipotizzare un ruolo dell’Italia nella “normalizzazione delle relazioni tra la Russia e l’Unione europea”.

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