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Sì a un partito di ispirazione cristiana, ma senza parlare di “centro”

Di Giancarlo Chiapello

“Un partito di ispirazione cristiana, guidato da laici capaci, non dispiacerebbe”. Queste le parole di mons. Nunzio Galantino. Non ha usato la parola “centro”, seguendo la linea definita dalla tradizione migliore del cattolicesimo italiano che attinge proprio alla Dottrina Sociale della Chiesa. La riflessione di Giancarlo Chiapello, politico e saggista, tra i fondatori nel 2004 e segretario organizzativo del movimento laico di ispirazione cristiana Italia Popolare

Fare un centro? Sembra questa la fregola, più che la domanda di natura politicista, a cui in tanti cercano di dare una risposta soprattutto dopo le dichiarazioni di mons. Nunzio Galantino (in foto) in occasione dell’intervista fatta dal direttore del Corriere della Sera durante l’ultima edizione del Festival della Dottrina Sociale della Chiesa di Verona.

Il presule, presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, pur con tutte le cautele del caso, a partire dalla non necessità di una benedizione, ha affermato: “Un partito di ispirazione cristiana, guidato da laici capaci, non dispiacerebbe”. La terminologia usata è evidentemente nell’alveo della tradizione popolare e democratico cristiana se rileggiamo l’appello ai “Liberi e Forti” che si rivolgeva a “uomini moralmente liberi e socialmente evoluti”, le parole di don Luigi Sturzo del perché un partito non dovesse definirsi cattolico, le riflessioni ad esempio di Amintore Fanfani, “partiti d’ispirazione cristiana sì, e possibilmente tutti in un Paese cristiano; partiti cosiddetti cattolici, no, nessuno: e ciò per lasciare alla Chiesa la sua nobile funzione di madre comune, di arbitra, di unificatrice, di ispiratrice della nostra civiltà”.

Non ha usato la parola “centro”. Anche in questo la linea è definita dalla tradizione migliore del cattolicesimo italiano che attinge proprio alla Dottrina Sociale della Chiesa: è l’ispirazione, l’identità, la radice valoriale e programmatica espressa da una leadership originale che determina la posizione politica necessariamente autonoma che, dunque, viene dopo. Anteporla o assolutizzarla significa fare tattica con la mera geografia politica tradendo quanto stabilito da Sturzo stesso quando, affermando la necessità di non cedere alle filie di destra e sinistra, scrisse che “il nostro centrismo non è equidistanza”.

La questione della visione, dell’identità politica radicata nell’ispirazione cristiana la potremmo vedere rafforzata nel riferimento fatto da papa Francesco ad Alcide De Gasperi durante il suo ultimo viaggio in Grecia dove ha fatto memoria delle radici di quella che proprio il grande statista democristiano definì Comune Patria Europa.

Il Santo Padre ha citato un passaggio fondamentale del discorso degasperiano fatto a Milano nel ’49: “Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire andare verso la giustizia sociale” con ciò contrastando le polarizzazioni che animano la democrazia e rischiano di esasperarla. Si potrebbe a questo punto andare a rileggere l’intervento del Pontefice tenuto ad agosto di quest’anno durante l’“International Catholic Legislators Network”, network di parlamentari cattolici di tutto il mondo nato nel 2010.

Questa ispirazione può tradursi di nuovo in organizzazione se ritrova, sulla base di una comune visione sociale, su una ripartenza della colleganza tra popolari e democratici cristiani europei e si anima dal confronto tra diverse modalità di declinazione che ne rappresentano una ricchezza ed una garanzia di democraticità, non attraverso la sommatoria di classe dirigente più o meno vecchia e abile nell’intenzione di essere indispensabile tatticamente, ma se sa rimettersi dentro la complessità sociale all’opposizione dello stato delle cose: la domanda di centro che i sondaggi evidenziano ormai da tempo necessita di innescare un processo non di occupare uno spazio e questo può essere possibile rifacendosi ad una ritrovata amicizia cristiana che permette di tornare ad essere “egualmente animati dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa” (De Gasperi).

Questo significa anche comprendere che sono falliti gli schemi tentati durante i trent’anni della Seconda repubblica artificialmente polarizzata, dall’andare ovunque con la propria ispirazione più o meno privatizzata o urlata per ritrovarsi sui grandi valori, ai “centri” tattici e raffazzonati utili a trattative su liste e collegi. Si è passato troppo tempo a litigare ferocemente tra cattolici, dimostrando una inconcludente sudditanza ideologica che ha portato a mendicare spazi sempre più asfittici ed irrilevanti, simili ai capponi di Renzo di manzoniana memoria.

La domanda politica, accelerata dallo sfibramento della democrazia tradotto in un insopportabile e pericoloso astensionismo, chiede il coraggio di andare oltre anche attraverso dei no e delle scelte chiare per non perdere un tempo propizio che ha un punto d’inizio fondante, l’Europa dei padri fondatori.

“Ci diceva talvolta don Primo Mazzolari che era tempo che ci attrezzassimo per metterci un poco all’opposizione, ma precisava, non all’opposizione degli altri ma all’opposizione di noi stessi eventualmente delle nostre grettezze, dei nostri egoismi, se necessario anche delle nostre ambizioni. Io credo che, quando ciascuno di noi, fuori dal fuoco della controversia, illimpidendo stati d’animo e percezioni di scontro e incomprensione, sa che, alla fine di questo nostro impegno, al quale sinceramente ci sentiamo evocati, non c’è una soddisfazione personale che valga l’idea di avere servito senza inganni e senza rimorsi, questa grandezza, questa ragionevole speranza, questa splendida intuizione che è una idea democratica e cristiana” (Mino Martinazzoli).

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