La riduzione della quarantena per i vaccinati è un piccolo incentivo che si aggiunge agli altri già messi in campo. Ma deve essere accompagnato da disincentivi forti per i non vaccinati. Il commento di Giuseppe Pennisi
In queste ore, il Comitato Tecnico Scientifico, prima, e il governo, poi, dovranno valutare la proposta di diverse associazioni datoriali e di alcune Regioni di ridurre, per coloro che sono stati vaccinati secondo i protocolli richiesti (due o tre dosi), il periodo di quarantena richiesto in caso abbiano contatti con persone positive alle varie forme di Covid-19.
È un tema che ha soprattutto risvolti medici, ma che vale la pena esaminare anche dal punto di vista economico sotto due aspetti: a) gli effetti, in termini di economia del benessere, di “vergogna ed orgoglio” di fronte alla campagna vaccinale: b) le implicazioni in termini di economia comportamentale delle misure possibili e fattibili.
In termini di “vergogna ed orgoglio” di dichiarare di essere stato in contatto con un soggetto “positivo” e di essere fiero di auto-isolarsi per evitare di spargere il contagio, viene quasi spontaneo dire che “nell’Italia dei furbetti”, i “no vax” tenderanno a non dichiarare di avere avuto contatti con soggetti positivi. Il problema è più complesso come indica il saggio di Luigi Butera, Robert Metcalfe, William Morrison and Dmitry Taubinsky “Measuring the Welfare Effects of Shame and Pride” pubblicato sull’ultimo fascicolo del trimestrale American Economic Review, di cui gli abbonati hanno ricevuto la versione pdf, ma che solo tra qualche settimana sarà disponibile nelle biblioteche universitarie.
Nel lavoro, si propone (e si testa empiricamente) una metodologia empirica per misurare comportamenti che tengano conto degli effetti sugli altri e di comportamenti che, invece, potremmo definire “egoistici”. La conclusione è che l’elemento determinante è il social signalling ossia quali indicazioni vengono dalla società civile e dalle istituzioni (governo e Parlamento in primo luogo) per riconoscere il merito di chi fa il proprio dovere (e dichiara di essere stato in contatto con un positivo) ed il demerito di chi fa “il furbo”.
La riduzione della quarantena a chi auto-dichiara di essere stato in contatto con un positivo è, indubbiamente, un elemento significativo di social signalling. Lo è abbastanza per indurre i non vaccinati a fare analoghe auto-dichiarazioni? In un’Italia dove si scoprono “fabbrichine” per produrre green pass falsi c’è da dubitarne.
Qui entra in ballo l’economia comportamentale. A fronte del “premio” (la riduzione della quarantena) a chi ha un comportamento corretto nei confronti del prossimo e della società nel suo complesso, quale “penale” prevedere per chi invece ne ha uno doppiamente scorretto: non si vaccina e non dichiara contatti che possono portare all’estensione del contagio?
Su questa testata il 25 ottobre si sottolineava – citando l’etica di Kant e la filosofia della giustizia di Rawls – che il comportamento dei “no vax” (ce ne sono ancora 6,5 milioni nonostante il virus abbia avuto effetti anche letali su alcuni dei loro leader) è non solo anti-sociale ma “socialmente pericoloso”. Il vaccino – lo sappiamo – non è una panacea e non protegge completamente, ma è la sola arma di difese che abbiamo: chi gli toglie la punta, è un pericolo per la società e per le decina di milioni di persone che si comportano correttamente.
La riduzione della quarantena per i vaccinati è un piccolo incentivo che si aggiunge agli altri già messi in campo. Deve essere accompagnato da disincentivi forti per i non vaccinati. Se il governo non ritiene politicamene fattibile l’obbligo vaccinale (che pur esiste per i bambini) e non ha la forza di applicare un lockdown severo per i non vaccinati (come in Austria e Germania), dovrebbe, in parallelo con la riduzione della quarantena ai non vaccinati, applicare misure pesanti nei confronti dei “furbetti” che coscientemente commettono il reato di diffusione colposa di epidemia, reato che ai sensi degli articoli 452 e 438 del Codice penale comporta reclusione sino a 12 anni. Misura fattibile e possibile, codici alla mano.
Basterebbero una dozzina di condanne esemplari per fare sì che i Welfare Effects of Shame diventino molto elevati. Ed inducano – spero – a cambiare comportamento.