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Il declino del potere pubblico. Come salvare la classe dirigente secondo Alesse

Di Roberto Alesse

In un momento storico particolarmente delicato, esce il nuovo libro di Roberto Alesse – dirigente generale della Presidenza del Consiglio – dal titolo “Il declino del potere pubblico in Italia. Come salvare la classe dirigente nell’era della globalizzazione e delle pandemie” (Rubbettino). Ne pubblichiamo alcuni estratti

Il sistema amministrativo italiano è tutto da rifondare per poter ottenere il massimo dispiegamento delle energie professionali e materiali e per riuscirci serve un vero progetto riformatore che, in una logica di innovazione dell’amministrazione, sappia decretare, in primo luogo, la fine della babele prodotta da una legislazione perversa ed improduttiva, che assegna alla burocrazia, consapevolmente, un ruolo di ripiegamento autoreferenziale nella gestione delle pratiche amministrative su cui, in assenza di nuove regole schematiche e funzionali, continua a fondarsi l’immobilismo storico del nostro Paese.

… In questo contesto, attingere dall’esterno è contro ogni logica e lo scriviamo in contrapposizione a chi parte dal presupposto inammissibile che la Pubblica amministrazione, per poter esistere e progettare, abbia bisogno, a prescindere da ogni ragionevole considerazione, di reclutare costantemente, dal mercato privato, singole individualità professionali oppure studiosi di scienze teoriche che servono a ben poco. La risposta è semplice e veloce: basta investire, con serietà, nel meccanismo di una rigida selezione meritocratica della nuova classe dirigente e costituire un bacino delle alte professionalità tecniche che si rinnova periodicamente per soddisfare le specifiche esigenze delle amministrazioni del nuovo millennio alle quali si può concedere di ricorrere, in casi rari e ben motivati, a procedure di outsourcing per la realizzazione di progetti di altissimo valore giuridico e scientifico.

La sindrome dell’Italia dimenticata dai grandi flussi degli investitori internazionali e, perfino, dai nostri giovani laureati che l’abbandonano per necessità non è, dunque, un qualcosa di virtuale, ma è una realtà drammatica causata dall’evanescenza delle classi politiche degli ultimi decenni che hanno soffiato la volata finale alle istanze populiste e ai millantati richiami alla democrazia diretta cresciuti a dismisura per soddisfare la sete di sangue di un elettorato furioso, immiserito, senza più identità, che reclamava la genesi di nuovi partiti anti-establishment. È nato così, soprattutto in questa legislatura, un raccapricciante “Medioevo” politico rappresentato, per la stragrande maggioranza dei seggi parlamentari, da un ceto umano variopinto, di incerta provenienza professionale, con un bagaglio culturale inadeguato e, in parte, “folcloristico”, che, sebbene scelto democraticamente, è stato messo nella condizione di entrare nella gestione del potere reale, con effetti devastanti sotto il profilo formale e sostanziale.

La nascita del governo Draghi è stata un sussulto di dignità che l’Italia è riuscita a darsi, in extremis, … per non farci fare la fine dell’Argentina, a causa della infinita debolezza delle nostre istituzioni governative. Non poteva, quindi, che essere lui, Mario Draghi, ad assumere la guida del Paese, sulla base della sua personale credibilità professionale riconosciuta in tutti i consessi internazionali, che non consente a nessun politico di ultima generazione di ergersi a figura di contrappasso istituzionale e culturale, pena il profondo imbarazzo a cui si esporrebbe in chiave di impietosa comparazione dei rispettivi curricula vitae.

… Chi scrive è colpito da Draghi non solo, ovviamente, per la sua autorevolezza che gli deriva dall’aver ricoperto molteplici incarichi di vertice sia in Italia, che all’estero, ma anche, e soprattutto, per il suo elegante tratto psicologico che lo elevano al rango di élite borghese, lontana da ogni concezione populistica, con forte, però, apertura sociale, tipica di quel cattolicesimo intelligente che sposa la causa della difesa dei più poveri con quella che non disdegna la valorizzazione delle capacità dei singoli a produrre reddito in un contesto di economia liberale

… È con questo fair play che il presidente del Consiglio dei ministri, a capo di un governo di unità nazionale, si accinge ora a salvare l’Italia con il contributo responsabile dei partiti politici che lo sorreggono in questa impresa ardua.

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