Molto più di un summit: Joe Biden vuole fare della promozione democratica un piano d’azione. Diritti, lotta alla corruzione, cooperazione tecnologica: un’alleanza di piccole e medie nazioni da sottrarre al perimetro di Russia e Cina. L’analisi di Carlo Pelanda
Chi scrive lanciò nel 1993 il programma di ricerca Free community, basato sul corso di dottorato di ricerca International futures presso la University of Georgia finalizzato a disegnare un’alleanza delle democrazie.
Il problema cui si cercava soluzione era che, dopo la crescita del dopoguerra, ogni democrazia stava mostrando i primi segni di regressione in termini di ricchezza diffusa socialmente e questo a causa di welfare inefficienti (il caso dell’Europa) o insufficienti (quello americano) e dell’impatto della concorrenza sleale dei Paesi emergenti.
La soluzione studiata – abbozzata nel libro “Il fantasma della povertà” e rifinita nel volume “La riparazione del capitalismo democratico” – mostra l’utilità e necessità di compattare gradualmente un mercato globale delle democrazie per rafforzare in ciascuna il modello di capitalismo di massa attraverso standard comuni, tra cui il fair trade, enfasi tecnica presentata anche nel libro Sovranità & ricchezza.
Il punto: le democrazie hanno costi sociali e recentemente anche ambientali elevatissimi e per restare economie aperte hanno bisogno di un’architettura politica del mercato mondiale che ne tenga conto. Nel libro The grand alliance l’autore inserì nel disegno di mercato globale delle democrazie anche la sfida geopolitica proveniente dall’emergente capitalismo autoritario, guidato dalla Cina nazional-comunista, tratteggiando il progetto Nova pax come evoluzione multilaterale della Pax americana. In sintesi, il progetto era ed è quello di creare un complesso democratico globale più grande del mondo autoritario, consolidato da un mercato comune per rendere concreta la sopravvivenza, altrimenti in forse, del modello democratico e la sua progressiva diffusione alle circa 200 nazioni del pianeta.
Ora, finalmente, una parte iniziale di questo progetto, dopo tanti tentativi falliti dal 1941 a oggi (importante quello della Lega delle democrazie tentato dal repubblicano John McCain nel 2008) prende il via nel Summit per la democrazia a guida statunitense. Il progetto è graduale, cioè prima aggregare su temi ad alto consenso come la difesa dei diritti, il contrasto alla corruzione e la cooperazione tecnologica e poi, a partire dal dicembre del 2022, approfondire la convergenza tra Stati, con attenzione particolare alle nazioni piccole.
Parecchi analisti lamentano che il tema di aggregazione sia troppo labile. In realtà lo scopo preliminare è quello di organizzare una maggioranza di nazioni democratiche nell’Assemblea generale dell’Onu per spingere questa organizzazione internazionale verso standard di democratizzazione che ora formalmente non ha. Tale scopo, pur non dichiarato, è evidente nella selezione degli inviti: non per situazione attuale, dove alcune democrazie mostra- no tendenze autoritarie, ma per impegno futuro.
Questo è utile sia per costruire una maggioranza mondiale di democrazie, ma anche per applicare standard comuni di informazione via Internet che ne impediscano l’uso condizionante da parte di nazioni autoritarie. Un nuovo confine tra mondo delle democrazie e non democrazie? Certo, probabilmente sarà selettivo, ma non così duro da provocare implosioni economiche delle grandi nazioni autoritarie.
Lo scopo è ridurne l’aggressività e l’ambizione di influenza, in particolare di Cina, Russia, Iran, eccetera. L’invito a organizzazioni non governative e a movimenti pro-democrazia nei Paesi autoritari è un precursore
di una strategia di loro destabilizzazione interna? Al momento appare più un tentativo di loro tutela, pensando alla repressione del movimento per la libertà a Hong Kong e a quello in Russia, ma non è escludibile una postura dissuasiva basata su questo potenziale. Ciò pone un problema alle nazioni dell’Ue?
Lo pone se alcuni di questi Stati continueranno la postura mercantilista e seguiteranno a mantenere relazioni pericolose con la Cina e la Russia. Diventerà, invece, una grande opportunità se questi Paesi si uniranno agli Stati Uniti, che ne hanno bisogno, nella strutturazione del complesso democratico globale. E per l’Italia, più che per altri, è un’opportunità (bipartisan).
Articolo pubblicato sul numero di dicembre della rivista Formiche