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La doppia trappola cinese che spinge i Paesi poveri a snobbare i prestiti G20

Moulin, presidente del Club di Parigi, lancia l’allarme: le nazioni, soprattutto africane, temono di perdere l’accesso ai futuri fondi da Pechino e così in poche hanno accettato l’iniziativa Dssi

La Cina ha un ruolo sempre più dominante come prestatore ai Paesi poveri, come raccontato a più riprese su Formiche.net. Questa ascesa ha scoraggio molti di quegli Stati dal cercare di ridurre il loro debito per paura di perdere l’accesso ai futuri fondi cinesi. È l’allarme lanciato da Emmanuel Moulin, direttore del Tesoro francese e presidente del Club di Parigi, gruppo informale di organizzazioni finanziarie dei 22 paesi più ricchi del mondo. Queste nazioni, il cui debito è cresciuto pesantemente dall’inizio della pandemia, “non volevano creare difficoltà con la Cina”, ha spiegato al Financial Times.

Facciamo un passo indietro. Durante una riunione del G20 il 15 aprile dell’anno scorso, i Paesi più ricchi decisero di dar vita a un’iniziativa per quelli più poveri, con reddito pro capite inferiore a 1.185 dollari all’anno. In tutto 73 nazioni, oltre la metà africane, che ospitano 1,7 miliardi di persone, pari al 22% della popolazione mondiale. L’operazione, ribattezzata Dssi (Debt service suspension initiative), consiste nella sospensione del pagamento del servizio del debito (non una cancellazione delle quote in scadenza) e, dopo due estensioni, scade a fino 2021.

Soltanto 46 Paesi, però, hanno deciso di aderire all’iniziativa del G20. Perché? L’ha ben spiegato Avvenire, raccontando una delle restrizioni: “non si applicava al debito dovuto a tutti i soggetti esteri, ma solo sul debito bilaterale, ossia sui prestiti ottenuti direttamente da altri governi”. Ecco le cifre: si tratta di “una somma corrispondente al 34% dei 550 miliardi di dollari di debito estero complessivo gravante sui governi” di quei Paesi. “Quanto alle restanti quote, il 46% è verso organismi multilaterali come Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale e l’altro 20% verso banche commerciali e altri soggetti privati”. E ancora: “complessivamente la quota di debito interessata dal provvedimento assunto dal G20 ammonta a 190 miliardi di dollari, il 63% dei quali verso la Cina, a conferma del graduale disimpegno finanziario dei Paesi appartenenti al così detto Club di Parigi, un cartello di 22 nazioni che, a parte la Russia, appartengono tutti all’area occidentale”.

Alcuni Paesi hanno deciso di non richiedere un’ulteriore estensione dell’iniziativa “perché non volevano creare difficoltà con la Cina”, ha detto Moulin. Certi “hanno preferito parlare con la Cina e con altri creditori di nuovo denaro piuttosto che chiedere aiuto nell’ambito” della stessa per paura di perdere l’accesso a futuri prestiti o di causare un declassamento del proprio rating con il rischio default. Una sorta di doppia trappola del debito.



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