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Draghi e Macron, destini incrociati. La bussola di Ocone

Pochi hanno notato un fattore che accomuna i due leader in questo momento e che rende debole la loro strategia, il futuro politico incerto nei loro rispettivi Paesi. Un futuro che si giocherà tutto nei primi mesi dell’anno che verrà. La rubrica di Corrado Ocone

Che fra Mario Draghi e Emmanuel Macron ci sia feeling, è indubbio. Nelle relazioni internazionali il fattore umano conta, altroché! Che esso si sia tradotto in atti politici, è ormai altrettanto evidente. La lettera congiunta da loro scritta e pubblicata prima sul Financial Times e poi su altri giornali non ha fatto altro che mettere nero su bianco i motivi che portano oggi i due Paesi a fare fronte comune, ad avere una comune strategia prima di tutto per riscrivere le regole dell’Unione europea e indirizzarne le politiche verso lidi a noi più favorevoli.

Pochi però hanno notato un altro fattore che accomuna i due leader in questo momento e che rende debole la loro strategia, il futuro politico incerto nei loro rispettivi Paesi. Un futuro che si giocherà tutto nei primi mesi dell’anno che verrà. In Italia, la sorte di Draghi è appesa alla volontà dei partiti, come è giusto che sia in democrazia. E che le forze politiche vogliano riprendersi la scena è chiaro e naturale. Con la sua conferenza di fine anno, il presidente del Consiglio ha dimostrato di avere consapevolezza di ciò e ha posto in termini chiaro il punto centrale. Il senso del suo discorso forse non consisteva tanto nel rendersi disponibile a “traslocare” da Palazzo Chigi al Quirinale quanto nel reclamare per il Paese quella “unità nazionale” che è stata l’orizzonte in cui ci si è mossi nell’ultimo anno e che è ancora necessario che sia mantenuta.

In tal senso, egli non ci starebbe a fare il presidente, fosse della Repubblica (che non disdegnerebbe) o del Consiglio, con una maggioranza diversa. Né sopporterebbe di restare a Chigi con un Capo dello Stato eletto con una maggioranza diversa da quello che lo sorregge, e quindi con una situazione politica tanto conflittuale da impedirgli di operare. In sostanza, Draghi ha invogliato i partiti a stare ancora insieme e insieme decidere chi occuperà le due caselle cardine del nostro sistema e quindi anche il suo destino. Non sappiamo se i partiti riusciranno a dare queste garanzie a Draghi, anche se la domanda vera che dovrebbero porsi è se davvero in questo momento l’Italia può permettersi di perdere una tale risorsa.

Più che ai partiti è agli elettori invece che, in modo diretto, dovrà rispondere Macron per vedersi riconfermato. Ma anche in questo caso, l’impresa non è affatto facile come la si vorrebbe far sembrare. E ciò soprattutto per la sagacia con cui i gollisti hanno scelto la propria candidata all’Eliseo, Valérie Precresse, che potrebbe d’improvviso farli rinascere (come è accaduto ai socialdemocratici tedeschi anch’essi dati un po’ di tempo fa per morti e sepolti).

Il problema politico francese è in qualche modo simile a quello italiano. Nei due Paesi, in effetti, la destra nei sondaggi è maggioritaria nel Paese ma non riesce ad attrarre quell’elettorato non di sinistra, ma più centrista e “moderato”, che gli servirebbe per governare il Paese: in Italia per diventare, da maggioranza relativa, assoluta; in Francia per non soccombere nel doppio turno. A ben vedere, fu in questo scenario che riuscì ad inserirsi, la volta scorsa, En Marche! Ora, i gollisti avrebbero potuto scegliere un nome più vicino della Precresse alle destre di Marine Le Pen e Eric Zemmour, oppure puntare su un candidato con una formazione simile a quella di Macron, e perciò rassicurante per certo deep state, ma anche schierato in modo netto a destra e quindi tale da poter prendere i voti necessari ad un eventuale ballottaggio.

Staremo a vedere, ma certo Macron non potrà dormire sonni tranquilli da qui a primavera. In questa situazione, bene hanno fatto Macron e Draghi ad anticiparsi, ma se l’uno e/o l’altro dovesse andar via, non siamo tanto sicuri che il lavoro da loro fatto in vista di un’alleanza strategica italo-francese e di un nuovo asset europeo potrà essere ripreso tale e quale dai successori.

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