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Rafforzare le filiere nazionali e globali è il primo obiettivo. Ma chi se ne occupa?

Le filiere globali sono fragili. Dobbiamo abituarci a continue crisi, le imprese hanno il compito di progettare filiere più resilienti e i governi possono aiutarle con politiche di sostegno. L’Italia non solo non lo sta facendo, ma sembra ignorare il problema, scrive Pietro Paganini di Competere

Il summit annuale della Global Trade & Innovation Policies Alliance che si è appena concluso a Washington D.C., e a cui ho partecipato, ha evidenziato la fragilità delle filiere produttive. 
  • La ripresa dei consumi e il conseguente rimbalzo della produzione mondiale sono frenati dal drammatico ritardo nella lavorazione e consegna di materie prime e componentistica. Come in un ciclo vizioso ne soffre l’intera economia globale, cioè tutto il tessuto sociale di lavoratori, famiglie, consumatori.
 
È sufficiente che un solo tassello della filiera globale si blocchi perché l’intero sistema entri in crisi. 
  • Intervenire sulle filiere per prevenire rallentamenti o fallimenti è compito delle aziende.
  • I Governi possono facilitare questo compito per assicurare al proprio paese maggiore stabilità, sicurezza, e concorrenza.
In Italia siamo poco preoccupati di questo fenomeno, e lasciamo che siano altri ad affrontarlo. Sbagliamo.
 
La globalizzazione delle filiere   ha favorito la creazione di valore, la riduzione dei costi di produzione (economie di scala e economie di locazione), la diminuzione della povertà, lo sviluppo dei paesi considerati poveri, e consumatori (accessibilità e varietà di prodotti), attraverso una rete sempre più articolata e interconnessa di produttori e fornitori su scala internazionale. 
 
Il problema non si risolve smontando le filiere per riportarle a casa, cioè preferendo la localizzazione alla globalizzazione. Questa politica del re-shoring – riportare in patria – è la risposta sbagliata ad un problema evidente che in molti hanno ignorato a lungo. La reazione è comprensibile, ma non si rivelerà efficace. 
  • Potrebbe avere conseguenze negative per l’intero globo, come la diffusione di crisi sociali su scala mondiale, e un conseguente impatto negativo sulla sostenibilità e il riscaldamento del pianeta.
 
La soluzione alla crisi delle filiere va cercata nelle dinamiche della globalizzazione dei processi produttivi. 
 
Le imprese italiane sono, per ora, meno coinvolte da questo fenomeno perché hanno dimensioni minori, sono esportatrici nette, e sono meno interconnesse. In futuro lo saranno maggiormente, così come lo siamo già noi consumatori. 
 
La Pandemia non è l’unica causa di questi intoppi. Ve ne saranno molti altri in futuro, e dobbiamo abituarci, e quindi prepararci. 
  • Dobbiamo costruire filiere intercambiabili e quindi diversificabili. Dobbiamo cioè, poter sostituire la parte non funzionante con altre. Serve quindi più globalizzazione e più capacità di esplorare nuovi mercati. In ruolo del Governo e della diplomazia è fondamentale. 
  • Dobbiamo progettare filiere visibili o tacciabili. Tutti i passaggi e i meccanismi della filiera devono essere trasparenti e tracciabili. Così si genera responsabilità, si promuove la sostenibilità, e si favorisce l’intercambiabilità. 
  • Le filiere devono essere intelligenti. L’utilizzo della tecnologia (automazione, digitale, 3D, etc.) non servono a solo a ridurre le filiere, riportandole a casa (in-shoring della produzione), ma possono aiutare a ridurre i fallimenti e a monitorare tutti i passaggi, pretendendo eventuali fallimenti. 
Le imprese hanno il compito di assicurare che le filiere non si intoppino attraverso pratiche manageriali e organizzative più resilienti. 
I governi invece, come il nostro, dovrebbero accompagnare le imprese in questa difficile sfida, aiutandole attraverso 
  • azioni geopolitiche intelligenti,
  • investimenti appropriati nella sostenibilità e nelle infrastrutture,
  • la diffusione di una cultura manageriale globale.
Per ora, i nostri governi e l’apparato burocratico non hanno fatto nulla di tutto questo, lasciando le nostre medie e piccole imprese nelle mani del destino.
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