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È partito il “superciclo” delle materie prime? Il libro di Torlizzi

Di Gianclaudio Torlizzi

Nel volume “Materia rara” (Guerini e associati), Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, si interroga sugli effetti della pandemia e del green deal sul mercato delle materie prime evidenziando un elemento di rottura destinato a mutare nel profondo il paradigma dell’economia mondiale

Lo scoppio della pandemia da Covid-19 ha rappresentato, e continua a rappresentare, materia di grande dibattito sul piano politico e sanitario. Dalla reale efficacia dei vaccini nel contenerne le varianti, al potenziale rischio sulla libertà personale legata all’adozione di misure come quella del green pass, il virus occupa ormai grande parte delle attenzioni dei mass media e dell’opinione pubblica. Minore è invece l’attenzione che viene riposta sulle conseguenze di natura economico-finanziaria derivanti dalla diffusione della malattia, come la carenza e il conseguente forte rialzo dei prezzi delle materie prime. Dal rame al petrolio, passando per il minerale di ferro e il caffè, le percentuali di crescita sono arrivate anche a tre cifre percentuali, toccando in alcuni casi livelli record di prezzo, e alimentando in questo modo la tesi dell’inizio di un vero e proprio “superciclo”, ovverosia un periodo protratto di crescita della domanda, così intenso da rendere i produttori incapaci di soddisfare la richiesta.

E pensare che, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), l’11 marzo 2020, ha ufficialmente sancito l’inizio della pandemia, la reazione immediata dei prezzi delle commodity è stata di natura contraria. Nelle due settimane successive all’annuncio dell’Oms, i timori sul collasso dei consumi a livello mondiale motivati dalla necessità di applicare misure di lockdown, hanno spinto in sole due settimane il costo del rame, tanto per fare un esempio, da 6.000 a 4.371 dollari la tonnellata. Il panico ha però vita breve. Già a partire dalla fine di marzo le vendite hanno iniziato a cedere il passo a una massiccia dose di acquisti così violenti da spingere il prezzo del metallo, il 13 maggio 2021, al livello record di 10.747 dollari la tonnellata. Ma non è stato solo il comparto dei metalli industriali ad aver prodotto una ripresa a “V”. Lo stesso petrolio, dopo aver toccato il 22 aprile 2020 i 15,98 dollari al barile, ha intrapreso una lenta ma costante fase di stabilizzazione fino a riportarlo nell’autunno del 2021 sopra gli 80 dollari al barile. A scattare una fotografia generale ci pensa il Bloomberg Commodity Index, uno degli indici maggiormente rappresentativi del settore, che nell’ottobre 2021 tocca il nuovo record storico superando i livelli raggiunti nel 2008 e nel 2011.

La dinamica rialzista è stata talmente violenta da lasciare spiazzata gran parte degli operatori del settore, finanziari e industriali, tanto che ancora oggi, a distanza ormai di quasi due anni dall’inizio della dinamica, nei convegni in cui intervengo come relatore non manca mai la domanda se dietro il rialzo generalizzato dei prezzi delle materie prime non vi sia la longa manus della speculazione. La realtà è invece più semplice: dietro una dinamica così forte insistono elementi ben delineati. Volendo semplificare, ne ho identificati tre:

  • boom dei consumi: lo scoppio della pandemia è stato affrontato in maniera molto decisa dalle banche centrali e dai governi che hanno varato una dose massiccia di stimoli monetari e fiscali, dando il via a un vero e proprio boom dei consumi. Dallo scoppio della pandemia a oggi, Bank of America stima che siano stati implementati oltre 32 mila miliardi di dollari in stimoli monetari e fiscali. Da rilevare come per la prima volta dal dopoguerra il tema della spesa infrastrutturale è tornato a essere centrale nei piani di stimolo nelle economie soprattutto occidentali;
  • sviluppo del “green”: dei 12.000 miliardi di dollari in stimoli fiscali varati finora, 800 miliardi sono destinati specificamente a piani per contrastare il cambiamento climatico, premiando così quelle materie prime direttamente coinvolte nella transizione energetica verso la decarbonizzazione, come i metalli. In teoria, i processi di decarbonizzazione si sarebbero dovuti tradurre in una discesa dei prezzi petroliferi proprio in ragione della previsione di una riduzione dei consumi di energia fossile. E invece anche i prezzi petroliferi hanno assistito, dallo scoppio della pandemia a oggi, a forti rincari in scia al calo dell’offerta prevista a causa delle politiche ambientali sempre più stringenti;
  • restrizioni sull’offerta: l’esplosione dei consumi e l’accelerazione dello sviluppo dei piani ambientali hanno rappresentato un vero e proprio shock per la filiera produttiva delle materie prime che proveniva da quasi dieci anni di prezzi in discesa e dunque di bassi investimenti in nuova capacità produttiva. Non va poi trascurato il fatto che nel secondo trimestre del 2020, in piena crisi pandemica, molti grandi acquisitori di materia prima (come il comparto dell’auto, tanto per fare un esempio) hanno drasticamente ridimensionato i piani di acquisto, temendo un collasso della domanda, per poi cambiare drasticamente rotta già nel terzo trimestre. Hanno così raddoppiato gli ordinativi, non appena si sono resi conto dell’impatto positivo sulla domanda derivante dai cospicui stimoli fiscali.

Bastano questi elementi per giustificare la tesi dell’inizio del superciclo? A onor del vero, la comunità degli analisti non ha una linea condivisa sulle prospettive di lungo termine del settore. Secondo alcuni osservatori, la ripresa postpandemia potrebbe rivelarsi un gigante dai piedi d’argilla. Non appena l’ondata di stimoli monetari e fiscali sarà conclusa – è la tesi dei ribassisti – l’economia mondiale tornerà a navigare nel mare della stagnazione prepandemica. Gli occhi sono puntati in particolare sulla Cina: all’interno del Quattordicesimo piano quinquennale, che coprirà gli anni dal 2021 al 2025, il governo di Pechino si è posto l’obiettivo della “doppia circolazione” integrata successivamente con il concetto di “common prosperity”, teso a favorire il consumo interno a detrimento della spesa infrastrutturale che per anni ha rappresentato il driver di materie prime, come acciaio e metalli industriali. Una tesi, questa, che ha ricevuto un ulteriore rafforzamento dopo la crisi di liquidità che ha investito nel settembre 2021 Evergrande, il secondo gruppo immobiliare cinese e che sarebbe prodromica a una generale fase di raffreddamento del comparto delle costruzioni da cui dipende il 30% del consumo mondiale di acciaio, il 27% di zinco, il 21% di alluminio e il 10% di rame e alluminio.

Paradossalmente sembra essere questa la linea sposata dai governi e dalle banche centrali che, dopo aver inondato l’economia mondiale di stimoli fiscali e monetari, abbracciano la tesi che il fenomeno del rincaro dei prezzi delle materie prime sia temporaneo, mostrando così una palese contraddizione (o, peggio, semplice sfiducia nei propri mezzi). Per carità, rimangono molteplici le variabili che possono decretare velocemente la fine dell’attuale fase rialzista delle commodity. La mia tesi, tuttavia, è che, soprattutto per alcune tipologie di commodity come i metalli e gli acciai, le probabilità che sia partito un superciclo sono decisamente alte, e con tutte le conseguenze che il fenomeno comporta sul fronte inflazionistico, sulla marginalità delle imprese di trasformazione e naturalmente sul potere di acquisto dei consumatori.

Va detto che attualmente non esiste una chiara definizione del termine superciclo. Ciò che è evidente, però, è che, se si guarda ai quattro esempi storici di supercicli avvenuti negli ultimi cent’anni, emerge come alla base vi siano cambiamenti strutturali del paradigma economico allora vigente. Il primo superciclo si verifica agli inizi del secolo scorso in scia all’industrializzazione e urbanizzazione degli Stati Uniti. Lo scoppio della Prima guerra mondiale comporta in particolare l’accelerazione dei consumi di acciaio, rame e prodotti agricoli. Il secondo superciclo si sviluppa a partire dagli anni Sessanta in pieno dopoguerra sull’onda del processo di sviluppo in Europa e Giappone e culmina con le crisi petrolifere del 1973 e 1979. Decisivo è l’abbandono nel 1971 – da parte del presidente americano Richard Nixon – del gold standard, decisione che dà il via libera a un primo processo di monetizzazione del debito americano. Di conseguenza, si apre la strada al rapido apprezzamento del prezzo dell’oro che passa in soli 3 anni da 35 a quasi 200 dollari l’oncia.

A partire dal 2001 si assiste al terzo superciclo: l’entrata della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio produce un salto di qualità del processo di globalizzazione, ponendo le basi dell’impetuoso sviluppo della crescita industriale del Celeste Impero. L’aumento della domanda cinese di risorse naturali innesca così una corsa al rialzo delle materie prime durata fino al 2011. Il ciclo è stato prolungato da livelli senza precedenti di stimoli monetari inaugurati dalla Federal Reserve, al fine di contrastare gli effetti recessivi sull’economia derivanti dalla crisi del mercato tecnologico e aggravati poi dall’attentato alle Torri Gemelle l’11 settembre 2011, dando così il via al processo di finanziarizzazione delle materie prime.

Anche il quarto superciclo, quello che è a mio avviso partito con lo scoppio della pandemia, poggia su un elemento di disruption, di rottura, destinato a mutare nel profondo il paradigma dell’economia mondiale: l’implementazione dei piani climatici che sia sul fronte della mitigazione (che verrà perseguito attraverso il processo di elettrificazione e riduzione dell’estrazione e raffinazione di petrolio) sia su quello dell’adattamento (attraverso la costruzione di infrastrutture) comporteranno un notevole aumento dei consumi di materia prima.



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