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Libia, le elezioni sono a rischio? Il punto di Ruvinetti

Rispondere alle domande sulla situazione in Libia è una priorità per l’Italia, perché le dinamiche interne che si stanno innescando fanno presupporre il pericolosissimo rischio di un rinvio delle elezioni fissate per il 24 dicembre

Qual è la situazione a due settimane dal voto presidenziale e parlamentare libico? Quali le prospettive reali? Se è vero come è vero che la Libia è la prima delle “priorità” italiane in politica estera, come ha ricordato anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio alla presentazione di Decode39, e se è vero come è altrettanto vero che sulla Libia si giocano le capacità dell’Unione europea di essere incisiva nel contesto internazionale, come in quella stessa sede ha sottolineato il presidente della Fondazione Med Or, Marco Minnitti, allora occorre tenere in massima considerazione le risposte a queste due domande. Risposte che sono tutt’altro che scontate, tutt’altro che semplici.

Il contesto è ancora complicato da alcune delle divisioni che hanno caratterizzato questo decennio conflittuale, sia all’interno dei due fronti contrapposti – Cirenaica e Tripolitania, riunite adesso sotto un governo onusiano che ha proprio l’obiettivo di completare col voto la complessa fase di stabilizzazione in corso – sia all’interno dei due blocchi stessi. Partiamo dal dato tecnico: la Commissione elettorale non ha ancora stilato la lista completa dei partecipanti al voto, ci sono tanti candidati e tanti più ricorsi, si è in attesa delle indicazioni della commissione parlamentare per il voto sull’esame di questi, e su questi pesa anche la volontà del consiglio supremo della Magistratura.

Ci sono una serie di posizioni controverse, prendere per esempio quella di Saif al Islam Gheddafi o quella dell’attuale premier Abdelhamid Dabaiba – il primo con complicate questioni di carattere giuridico internazionale; l’altro ostruito dall’aver accettato di non candidarsi quando, in sede Onu, aveva ricevuto l’incarico ad interim dal Foro di Dialogo politico libico. Oppure le varie questioni sulla doppia cittadinanza, che era un altro dei prerequisiti, insieme al dimettersi dalle cariche pubbliche tre mesi prima del voto, decisi da una legge elettorale che per altro non è mai stata definitivamente implementata.

Davanti a questo scenario, il rischio che le elezioni vengano rinviate a dopo il 24 dicembre, data fissata dalle Nazioni Uniti e sposata come necessità stringente da tutta la Comunità internazionale, è attualmente piuttosto oggettivo. Altrettanto oggettivamente si può dire che qualora così fosse, sarebbe un salto nel vuoto. C’è infatti la possibilità del ritorno di una forte instabilità: se le elezioni sono l’unica alternativa per cercare di dare autorità a un governo, e renderlo in grado di gestire tutte le complessità del Paese, il non voto (anche il semplice rinvio) può essere il viatico per il ritorno del caos.

Una buona notizia può essere la nomina alla guida del processo libico all’Onu di Stephanie Williams, diplomatica americana che conosce bene il dossier avendo già occupato ruoli apicali nella struttura delle Nazioni Unite Unsmil, e poi ha capacità di dialogo e contatto con i vari fronti in campo, può garantire che queste elezioni restino il più inclusive possibile e che procedano in modo lineare, senza deviazioni o intoppi. Lavoro, si ripete, assai arduo visto i presupposti e certe dinamiche che si stanno mettendo in atto.

Ci sono inoltre altri due elementi paradigmatici della situazione. In questi giorni, tre dei candidati più forti su piazza, tre misuratini, Fathi Bashaga, Ahmed Maiteeg e Mohammed Al-Muntasser, si sono riuniti per coordinare una linea comune sulle varie problematiche che stanno emergendo. Se si riuniscono i maggiorenti di una città-stato come Misurata, che per anni ha protetto politicamente e militarmente i governi onusiano di Tripoli, significa che c’è necessità di prepararsi al peggio, ossia allo scenario in cui dopo il 24 – dovessero saltare le elezioni – la Libia sarà ufficialmente senza governo.

Inoltre non vanno sottovalutate le posizioni prese da alcuni dei comandanti miliziani e da alcuni veterani che hanno iniziato a criticare pesantemente il governo Dabaiba, accusandolo di incapacità nel gestire la missione per cui era stato incaricato – ossia il voto. Uno di loro nei giorni scorsi è stato rapito a Sirte, provocando la reazione del gruppo a cui era collegato, che è andato a dimostrare (pacificamente ma non troppo) davanti all’abitazione del primo ministro.



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